Ricevete lo Spirito Santo…
Più ancora che le porte del cenacolo, quella sera, chiuso era il cuore degli Undici, barricato dentro le proprie convinzioni e riserve, paralizzato dalle proprie paure. Le tenebre della sera che incombeva erano figura di ben altre tenebre, di quelle dell’incapacità di credere alla risurrezione del Maestro. La chiusura era stata la reazione dei discepoli all’annuncio recato loro da Maria di Magdala di aver visto il Signore. Tra gli Undici c’erano anche Pietro e il discepolo che Gesù amava, i quali avevano toccato con mano che quella mattina era davvero accaduto qualcosa. Ma nulla. C’era qualcosa cui essi attribuivano un potere superiore a quello del Signore: per timore dei Giudei… Ripenso a tutte quelle situazioni cui io attribuisco un potere paralizzante di fronte al quale finisco per concludere: neanche Dio può farci più nulla.
Eppure, Dio non si rassegna. Dio non pronuncia mai l’espressione che sovente affiora sulle nostre labbra quando con disincanto e disarmati ripetiamo: non c’è più nulla da fare. Dio non lo fa mai. Dio ripete sempre: ricevete lo Spirito Santo! Dalla parte della vita, fino alla fine, anche quando tutto sembra portare i segni evidenti del fallimento manifesto. Smettetela – dice Dio – di continuare a voler sistemare un passato attraverso l’unico mestiere che a volte finisce per assorbirvi: quello di riempire di fiori la morte. Oh, se siamo esperti di questo mestiere mentre dobbiamo riconoscerci analfabeti dello stile di Dio!
Ricevete lo Spirito Santo…
Come non pensare all’antico profeta Ezechiele che guardando la situazione del suo popolo che si era allontanato dal Signore lo paragonava a una sterminata distesa di ossa di fronte alle quali si sente ripetere: potranno queste ossa rivivere?
Immagino il Signore che guarda la mia vita e rivolge a me questa parola: padre Antonio, potranno queste ossa rivivere? E il riferimento non è anzitutto a qualcosa di esterno a me: il riferimento è alla mia, alla nostra situazione interiore di fronte alla quale con disincanto verrebbe da concludere che per virtù propria non potranno rivivere. Poi certo, il riferimento è a questa stagione ecclesiale nella quale prevale lo scoramento e la fatica propri di quelle stagioni in cui sembra mancare il respiro.
Cosa può significare celebrare ancora la Pentecoste se non sentirsi ripetere che non è ancora la fine e Dio non cessa di riversare il suo Spirito e non già perché finalmente la situazione sia ideale ma, forse, proprio perché essa sembra allo sbando?
Quella sera il Signore si rese presente – venne Gesù, stette in mezzo a loro – in mezzo a una comunità che conosceva bene fragilità e paure. A loro consegnò il dono della pace che nulla a che vedere con una esistenza al riparo da lotte e tensioni, nulla da spartire col nostro bisogno di starcene in pace. La pace donata dal Risorto, infatti, è quella capacità di riconoscere che se la paura e la fragilità sono evidenti, ben più grande è la fiducia in colui che vince il male grazie a una misericordia insperata.
Non è forse questo il compito della comunità cristiana inviata per essere segno di nuovi inizi, di possibili germogli nella misura in cui si lascia condurre dallo Spirito Santo e non già da logiche strategiche che nulla hanno da spartire con il Vangelo?
Un’altra storia è possibile, dice Dio, ma occorre tanta audacia da parte nostra per farla nascere.
Ricevete lo Spirito Santo…
Al termine dell’unico grande giorno di Pasqua iniziato con una luce nella notte del male e della morte, il cero pasquale verrà spento e collocato accanto al fonte battesimale. Ma la sua luce continuerà ad ardere grazie alla nostra disponibilità a perdonare: a chi rimetterete i peccati… Il riferimento non è soltanto a una prassi sacramentale ma ad uno stile relazionale.
Perdonare è donare attraverso le ferite ricevute, è fare del male subìto l’occasione di un gesto di amore. Se tu non perdoni, l’altro non potrà cambiare.
Il nostro perdono il segno che il male non ha l’ultima parola sulla nostra vita.