A 100 anni dalla sua nascita vorrei ricordare San Giovanni Paolo II riproponendo l’omelia che tenni in occasione della Messa celebrata in suo suffragio pochi giorni dopo la sua morte.
“Laudato sii mi, Signore, per Giovanni Paolo II che de te Altissimo porta significatione”.
In questi giorni sono andato spesso interrogandomi su come interpretare quel fenomeno sorprendente di folle che piangono per la scomparsa del papa, che hanno desiderato esprimere il loro affetto, la loro riconoscenza e la loro ammirazione, con la presenza, con la preghiera, con dei gesti. Sono cose esagerate? Io non credo. Credo invece che tutto radichi nell’essere contenti di aver potuto riconoscere l’efficacia dell’azione di Dio in una creatura concreta.
Al centro c’è la credibilità di quest’uomo che per ognuno ha assunto forme e modalità diverse. Per alcuni è colui che ha saputo rendere pienamente persuasivo il messaggio cristiano, per altri è un difensore dei diritti umani, per altri un grande leader carismatico, per altri ancora una presenza ormai familiare.
Noi non sappiamo più confrontarci con la morte tanto è vero che essa è cancellata e rimossa. Tanto meno sappiamo come rapportarci con la trascendenza. In questi giorni, invece, abbiamo visto accadere che la morte di un uomo ci abbia costretti a guardare non solo la morte ma anche l’al di là della morte. È come se quel corpo fosse un simbolo, una realtà che mette insieme l’umano e il divino. Quel corpo senza vita continua a dire che la morte non ha l’ultima parola, che il senso e la bellezza della vita stanno al di là della vita stessa, custoditi nella fedeltà di quel Dio al quale Giovanni Paolo II ha orientato tutto se stesso.
Quando iniziando il suo ministero papale aveva esordito dicendo: “Spalancate le porte a Cristo non abbiate paura di lui”, Giovanni Paolo II consegnava il suo più grande desiderio: quello di aprire dappertutto vie d’accesso a Cristo, come se desiderasse rendere accessibile a tutti gli uomini il varco verso la vita vera, verso il vero amore. Il suo indomito andare fino ai confini della terra, il suo voler essere vicino a tutti e non perdere occasione per annunciare il Vangelo, non rispondeva a scopi pubblicitari o a una sete di popolarità, ma perché gli stava a cuore l’uomo. Gli stava a cuore l’uomo perché gli stava a cuore Dio.
Persona abitata da un centro, da un luogo attorno al quale tutto convogliava. E questo centro non era la sua persona ma quella del suo Signore. “Desidero seguirlo”, si apre così il suo testamento.
Totalmente immerso in Dio, sapeva essere totalmente umano, attento anche agli aspetti più modesti e semplici della vita e insieme capace di andare subito dritto al cuore delle persone che lo incontravano. Pregare con lui, stargli accanto mentre celebrava l’Eucaristia è stato per chi l’ha vissuto un momento di luce che non si potrà mai dimenticare: sentivi la presenza del Signore, eri come contagiato da un dialogo di amore vero, fatto di parole ma anche di silenzi. Così vicino al cuore degli uomini perché nascosto nel cuore di Dio. Capivi che Cristo era tutto per lui.
Simbolo, dicevamo, dell’incontro tra umano e divino, simbolo dell’incontro tra terra e cielo. Ciò che ha fatto grande Giovanni Paolo II è il suo stare sulla soglia di una duplice fedeltà – a Dio e al mondo: non ha mai cercato di piacere agli uomini eppure ne ha rapito il cuore perché si sforzava di piacere solo a Dio. Non ha rincorso consensi, non ha barattato la verità, anche quando era doloroso ammetterla, come quando volle chiedere perdono per le colpe commesse nel tempo dalla stessa comunità cristiana.
Era convinto che la verità rende liberi: era la parola di Gesù in cui vedeva compendiato quanto di più importante aveva da dire al mondo.
È stato protagonista di cambiamenti epocali, ma sempre e solo perché abbandonato a un amore fedele ed eterno, capace di guidare i suoi passi e le sue scelte con l’audacia del profeta e la serena fiducia del contemplativo.
Nella sua vita intera ci ha fatto comprendere che cos’è la misericordia: l’amore che va oltre ogni giustizia. È il dono di un amore totale, gratuito, che riempie il cuore di gratitudine e ti fa sentire nella gioia, perché ti fa sentire sempre amato da Dio, qualunque sia la situazione in cui ti trovi. È la forza di una fedeltà che ti riempie il cuore di fiducia e di speranza.
Ha inciso nella storia e così l’ha cambiata non per la forza delle armi e della potenza del mondo, ma per l’esperienza annunciata e vissuta della misericordia, quella misericordia che costruisce la pace attraverso la via del perdono ricevuto e offerto. Aveva perdonato così il suo attentatore. Aveva indicato così al mondo la strada da percorrere per costruire un nuovo futuro di riconciliazione.
Ecco perché quella affluenza semplice e composta che è scorsa davanti ai nostri occhi in questi giorni, ha significato un uscire dalla folla delle solitudini per riconoscersi compagnia, per sperimentare un’appartenenza, là dove l’altro da straniero diventa fratello, come qualcuno ha mirabilmente scritto in questi giorni.
Siamo anche noi eredi di quello che abbiamo visto e ammirato in questo papa. Eredi, significa: custodi responsabili. Ci verrà chiesto che uso abbiamo fatto dell’esempio che abbiamo ricevuto in dono.
Perciò, “Alzatevi e andiamo!”. Non è solo il titolo di un libro, ma il cammino che ci attende!