SUSSIDIO PER LA PREGHIERA PERSONALE O FAMILIARE IN QUESTO TEMPO DI PROVA
15 maggio 2020
(A cura di don Antonio Savone, Direttore Segreteria Pastorale Arcidiocesi di Potenza-Muro L.-Marsico N.)
Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? In tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati (Rm 8.31.35.37).
Introduzione
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Il Signore è veramente risorto, alleluia.
Ed è apparso ai discepoli, alleluia.
Preghiamo
Donaci, o Padre, di uniformare la nostra vita
al mistero pasquale che celebriamo nella gioia,
perché la potenza del Signore risorto
ci protegga e ci salvi.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
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Sal 56
Saldo è il mio cuore, o Dio,
saldo è il mio cuore.
Voglio cantare, voglio inneggiare:
svegliati, mio cuore,
svegliatevi arpa e cetra,
voglio svegliare l’aurora.
Ti loderò fra i popoli, Signore,
a te canterò inni fra le nazioni:
grande fino ai cieli è il tuo amore
e fino alle nubi la tua fedeltà.
Innalzati sopra il cielo, o Dio,
su tutta la terra la tua gloria.
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Dal Vangelo secondo Giovanni (15,12-17)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
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Per amore
L’amore di cui Dio ci fa dono è un amore che allarga continuamente l’orizzonte delle proprie appartenenze.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli atri, come io vi ho amati. Ecco l’orizzonte nuovo verso cui tendere e non già quello di un comando impossibile.
Gesù non dice semplicemente: amate. Amare non basta, a volte può diventare un sentimento vuoto. Molto spesso l’amore umano è un amore che prende, è la mia povertà che va in cerca dell’altro per guarire la a solitudine, per illuminare le mie notti buie. Gesù non dice neanche: amate gli altri con la misura con cui amate voi stessi. Questo porterebbe in un gioco pericoloso. Tu non puoi essere misura a te stesso.
L’amore di Dio è un amore che ha tre caratteristiche: la totale e incondizionata dedizione (nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici); la familiarità confidente (tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi), la gratuità (non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi). È ricchezza in cerca di una povertà da colmare, di una solitudine da riscaldare. E perché io potessi imparare il modo di amare di Dio, lui stesso ha assunto la misura umana dell’amicizia: Voi siete miei amici. Dio si è messo alla pari, per essere dentro il gruppo e non al di sopra perché la vita non è ciò che di essa puoi aver imparato, ma ciò che di essa hai scelto di condividere. Dio si abbassa, come farà con Pietro quando, risorto, gli chiederà per la terza volta: Pietro, almeno mi sei amico? (Gv 21,17).
E’ facile innamorarsi, meno facile amare. Nell’innamoramento il centro di tutto è ancora l’io, l’individuo cerca più se stesso che l’altro: l’altro è cercato in risposta ad una mia domanda. L’amore comincia a maturare quando si praticano due atteggiamenti di fondo: il rispetto dell’altro e la promozione dell’altro.
Rispetto è non voler catturare l’altro all’interno del proprio orizzonte di senso. E’ accogliere la libertà dell’altro, valorizzare, stimare ciò che lo rende differente da noi. La promozione dell’altro, invece, consiste nello scoprire i suoi doni, la sua vocazione nascosta e aiutarlo a realizzare tutto se stesso, anche se questo non risponde alle nostre attese.
Ci viene annunciata una pienezza di vita ma anche qualcosa che appare come il suo contrario: il sacrificio.
Non c’è amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Amore, gioia, dolore. Parole paradossali. Perché queste due esperienze che secondo noi si escludono? Perché la strada di Dio che da padre si fa amico, da Signore si fa amico per mettersi al mio fianco, passa necessariamente attraverso un’esperienza di espropriazione e di decentramento.
L’amore di Dio nei nostri confronti non è la risposta al nostro amore. L’obiettivo dell’amore di Dio è la vita, quella nostra. Neppure l’essere riamato è il suo scopo. Il cammino parte da Dio, passa attraverso Gesù Cristo e poi si perde in noi, si dimentica dentro la vita che inizia a dilatarsi per coinvolgere ancora altri. Non un’esperienza di reciprocità bensì di circolarità.
(don Antonio Savone)
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Riflessione mariana
15 Maggio
La visione d’insieme
L’episodio delle nozze di Cana ci consegna anzitutto una geografia: ci trattiene, infatti, in un luogo molto abituale, feriale, una casa verosimilmente, in cui si sta celebrando l’amore tra due sposi, simbolo della nostra vita.
C’era la madre di Gesù… È lei la prima a comparire sulla scena e appare senza nome proprio: la sua vicenda è letta a partire dal suo rapporto con Gesù.
La madre di Gesù era già là: bellissima questa espressione. Traduce uno stile, quello di chi attende e prepara eventi nel segno del gratuito. Maria è innanzitutto colei che è là, che sta, che si fa presente.
Tante le persone che ruotano attorno a quel matrimonio. Eppure è soltanto Maria che riesce a stare in quella situazione senza perdere di vista l’insieme. L’unica capace di un colpo d’occhio che le consente di capire che cosa di essenziale sta accadendo e che cosa di essenziale è venuto meno. Vive con attenzione. “Attenzione è un atteggiamento amico verso gli altri, è la prontezza a cogliere segni attorno a sé; a scuotersi dall’ovvio, dal risaputo, dal senso del dovere imposto; a passare dal particolare all’universale, dal personale al comunitario; a sentire gli altri come persone che danno respiro al cuore” (Ronchi).
Maria ci è presentata come donna capace di sintesi e perciò attenta ai particolari. Ma nonostante badasse alle singole cose, non le sfuggiva la visione d’insieme.
Anzitutto, Maria percepisce la domanda inespressa di quella realtà. E la formula: Non hanno più vino. Sente che ogni crisi e ogni festa la riguardano, ma soprattutto la riguarda ogni persona. Non dice: Non c’è più vino, ma non hanno più vino. Persone concrete stanno per essere umiliate nel loro giorno più bello. Sembra dire: prima di tutto le persone.
Quel che è strano nell’episodio delle nozze di Cana è il fatto che Maria non provvede in prima persona alla necessità del vino, ma la mette in luce affidandola al Figlio. Ella ha fede in Gesù come in colui che può sopperire a un bisogno: essa già crede nella sua potenza senza bisogno di segni per credere.
Maria è capace di riconoscere che il suo compito giunge fin là: mettere in contatto quelle persone con Gesù e con il suo modo di intervenire. Figura della comunità cristiana chiamata a mettere in contatto.
Inoltre, non è da dimenticare che Gesù è già là, è presente anche se sembra uno dei tanti. Compito di Maria è introdurlo, dargli spazio e questo non con forza ma con discrezione.
Maria, poi, sta nella realtà immedesimandosi. Non le è sufficiente fermarsi all’analisi: entra nel problema al punto da meritare persino un rimprovero da parte di Gesù: Che ho da fare con te, o donna? Il senso di questa frase non è immediato, ma non è una espressione che incoraggi. Maria non si turba: non comprende, ma si rimette alla volontà del Figlio. E così diventa discepola la cui fede è aperta all’incognito prima ancora che intervenga l’evidenza del segno.
Non hanno più vino. Il vino è simbolo di una vita che si espande liberamente. La mancanza di vino è tutto ciò che chiude, che irrigidisce, crea sospetto, tristezza, permalosità, suscettibilità, litigiosità, malumore, pessimismo, critica corrosiva, acidità.
Cana racconta la dedizione sponsale tra Dio e ogni uomo. Tuttavia, si tratta di una relazione sempre minacciata: il vino a volte viene a mancare, noi conosciamo anche l’esperienza di un amore che finisce. Una relazione sempre a rischio. Non c’è esperienza umana che non sia sottoposta alla legge della diminuzione, del venir meno. Eppure Dio non si rassegna a questa costante.
Il primo segno che Gesù compie consiste nell’aggiungere più di 600 litri di vino ad un banchetto! Si resta scandalizzati di fronte a questo Dio, come si scandalizzerà Giuda al vedere un vaso di nardo prezioso sprecato per lavare e profumare i piedi di Gesù. Il Dio dello spreco!
E invece qui siamo nell’ordine del superfluo, della sovrabbondanza del vino bello. In fondo, la mancanza che Maria nota non è nell’ordine dell’essenzialità, non è cioè una questione di vita o di morte. Si tratta della mancanza di quel non so che permetta che le cose vadano nel modo giusto, che è proprio ciò di cui spesso siamo mancanti. Si tratta della gioia, dell’entusiasmo che traducono la bellezza di una relazione.
A volte manca “un superfluo più importante del necessario: manca amicizia, fede, gioia, bellezza, qualità di vita. Mancano forse piccoli perdoni, piccoli sorrisi, piccole tensioni da coprire, piccole parole da frenare, piccoli gesti di affetto” (Ronchi).
Alla sollecitazione di Maria, Gesù non dice che provvederà. Maria nondimeno dice ai servi: Fate quello che vi dirà. Sono le parole pronunciate dal Faraone durante la carestia in Egitto quando alla gente che era nel bisogno aveva detto: Andate da Giuseppe e fate quello che vi dirà (Gen 41,55-56).
Fede capace di osare, quella di Maria.
In questo suo intervenire, Maria suscita delle collaborazioni, chiede che ciascuno compia la sua parte. Avrebbe potuto compierlo lei il gesto di riempire d’acqua le giare, ma non lo fa. A noi sembra, invece, che le cose funzionino quando siamo noi a riuscire a fare tutto. Certo, se ci pensiamo, è poca cosa attingere l’acqua, ma è quanto basta.
(don Antonio Savone)
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Preghiera a Maria
Madre della Bellezza, Regina del nostro popolo,
non c’è su tutta la terra una creatura simile a te,
per la bellezza del tuo volto e la saggezza delle tue parole.
Tu sei la vera opera d’arte che Dio ha potuto realizzare mediante il tuo sì ubbidiente.
Tu sei l’icona della Bellezza che è splendore della Bontà e della Verità.
Consola la debolezza degli anziani e degli infermi,
accompagna la fatica di chi è provato da questa grave emergenza sanitaria,
custodisci l’innocenza dei nostri ragazzi,
rendi tenace la speranza dei giovani,
tieni sempre acceso l’amore nelle nostre famiglie,
asciuga le lacrime delle coppie ferite,
illumina i passi dei genitori smarriti.
Purifica gli occhi dei Pastori con il collirio della memoria
che può rinverdire il sì degli inizi
e suscita la disponibilità di tanti giovani che, sul tuo esempio,
spendano la loro vita a servizio dei fratelli.
Rendi i responsabili della cosa pubblica capaci di operare con bontà e dedizione.
Insegnaci a custodire l’umiltà del cuore
perché siamo in grado di pronunciare parole vere.
Intercedi presso tuo Figlio
perché siano agili le nostre mani, affrettati i nostri passi e saldi i nostri cuori.
Amen.
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Regina Coeli
Regina dei cieli, rallegrati, alleluia.
Cristo, che hai portato nel grembo, alleluia,
è risorto, come aveva promesso, alleluia.
Prega il Signore per noi, alleluia.
Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna.
Amen.