Carissimi, Francesco e Giulia, avete scelto dei testi della Parola di Dio molto belli, altamente significativi e anche fortemente impegnativi. Tanto le parole di Gesù, quanto il Cantico dei Cantici e le espressioni di san Giovanni, mettono a fuoco il mistero dell’amore, un amore che le grandi acque non possono spegnere, una fiamma divina che …

Carissimi, Francesco e Giulia,

avete scelto dei testi della Parola di Dio molto belli, altamente significativi e anche fortemente impegnativi. Tanto le parole di Gesù, quanto il Cantico dei Cantici e le espressioni di san Giovanni, mettono a fuoco il mistero dell’amore, un amore che le grandi acque non possono spegnere, una fiamma divina che va oltre persino il rifiuto e l’irriconoscenza.

Chi di noi non desidera un amore così, un amore a prova di resistenza, più forte di ogni cosa, capace persino di sfidare la morte? E perché lo desideriamo? Perché, per quanto a volte possiamo essere stati feriti o, comunque, segnati, senza questo anelito, senza questa tensione, nulla ha senso, tutto è opaco, tutto è fine a se stesso.

Creati a immagine e somiglianza di Dio, non potrebbe essere diversamente: amare ed essere amati è il nostro dna più vero, una sorta di marchio di fabbrica che quando non è onorato, è la barbarie, come attesta abbondantemente la cronaca e come già prefigurava il filosofo Hobbes: homo homini lupus.

“L’uomo non può vivere senza amore”, scriveva san Giovanni Paolo II nella sua Prima enciclica, Redemptor hominis. “Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente”.

Se nessuno di noi può vivere senza amore, dove attingerne la capacità? Se siamo onesti con noi stessi, non possiamo non riconoscere quasi con disincanto: “troppo bello per essere vero”. È qualcosa che resta relegato nelle favole e nell’immaginazione ma non nella realtà.

Stanno davvero così le cose? O c’è qualcosa che possiamo fare?

La risposta ce la date voi, carissimi Francesco e Giulia, con la vostra decisione. Quello che state celebrando, infatti, attesta che proprio qui è la sorgente dell’amore: “Dio è amore”, abbiamo ascoltato poc’anzi.

Perché celebrare il sacramento del matrimonio dopo aver già condiviso un tempo di vita insieme? Non si tratta di regolarizzare una situazione di fatto: voi scegliete di sposarvi “nel Signore”, ossia proprio come solo lui è in grado di amare. Oggi decidete di non fare navigazione a vista ma di prendere a modello il Padre, Dio, del quale viene messa in luce la sua caratteristica più peculiare: la misericordia, ossia l’amore che va oltre ogni giustizia.

A ben guardare il percorso proposto da Gesù in quattro tappe (ama, fa’ il bene, benedici, prega), sembra quasi che egli voglia adattarsi alla misura e alla capacità di ognuno perché si riesca ad andare oltre la reazione emotiva.

Arrivare ad amare perché così fa Dio Padre con ciascuno di noi quando addirittura gli mostriamo le spalle o recalcitriamo: per quanto possa sembrare strano, il banco di prova dell’amore è proprio il momento in cui esso non è riconosciuto (“nella notte in cui veniva tradito”, ci fa ripetere la liturgia) perché anche in quel frangente continui a scegliere per l’altro la vita che vorresti salvaguardare per te.

E se ancora non riesco ad arrivare a una esperienza simile, di certo, posso fare qualcosa di buono per l’altro in modo da non dar sfogo all’ira.

Se poi non riuscissi a fare questo, scegliere di non maledire ma benedire.

E se ancora non dovessi riuscire a farlo, portarlo nella preghiera davanti al Signore perché egli mi presti il suo sguardo e il suo cuore e mi doni la sua stessa capacità di amare perché io faccia a mia volta così come è stato fatto a me dal Padre stesso.

E poi quella regola aurea capovolta: “come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro”. Uscire dalla morsa della reciprocità e della pretesa e continuare a spargere germi di bene.

Non basta evitare il male: è necessario perseguire il bene proprio come fa Dio con noi. “Perdonare non significa negare il male, ma impedirgli di generare altro male… C’è sempre un modo per continuare ad amare” (Papa Leone XIV).

Oggi voi scegliete di stare nella vita da figli del Padre misericordioso. Certo, ci si può stare anche altrimenti ma al prezzo di non portare a maturazione tutto il potenziale di grazia e di bellezza di cui il Padre vi ha fatto dono.

All’altro non sono chiamato a restituire ciò che da lui ho ricevuto ma ciò che a mia volta ho ricevuto io da Dio. Prova a dare all’altro ciò che tu vorresti qualora ti trovassi nella sua stessa condizione: questa sarà la misura con cui sarà misurato a te da Dio perché la tua disponibilità ad accogliere è ciò che dilata la misura del dono di Dio. Lo aveva compreso molto bene Francesco d’Assisi quando, nella Preghiera semplice, afferma: “è dando che si riceve, è perdonando che si è perdonati”.