La reliquia insigne del Preziosissimo Sangue che voi avete il privilegio di custodire sin dal 1656, ci riporta – come del resto ogni celebrazione eucaristica – sul Calvario là dove il Sangue di Cristo è stato versato per tutti noi. Certo, il Signore Gesù ha compiuto questa offerta una volta per tutte distruggendo il peccato …

La reliquia insigne del Preziosissimo Sangue che voi avete il privilegio di custodire sin dal 1656, ci riporta – come del resto ogni celebrazione eucaristica – sul Calvario là dove il Sangue di Cristo è stato versato per tutti noi. Certo, il Signore Gesù ha compiuto questa offerta una volta per tutte distruggendo il peccato del mondo, ma noi abbiamo bisogno di portarci continuamente ai piedi della croce, come abbiamo bisogno dell’Eucaristia, per essere nuovamente purificati e per essere più intimamente uniti a lui.

Non finiremo mai di comprendere appieno il mistero che è racchiuso in questo sangue “chiave del Paradiso” (S. Tommaso d’Aquino). Davvero vorremmo essere come gli angeli raffigurati in tante rappresentazioni nell’atto di tenere un calice in mano perché quel sangue non sia versato invano.

“Ma come è possibile un Dio che muore in crocesi chiedeva il filosofo pagano Celso (II sec.)un Dio che si lascia vincere dai nemici, un Dio che fa una morte vergognosa, ignominiosa da impiccato? Per questo il cristianesimo non è credibile”.

Eppure, questa reliquia insigne ci attesta che la piena rivelazione di Dio si realizza proprio nel suo sangue versato per noi: “Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso” (Gv 10,18).

Questo sangue ci fa confessare che nella morte di Gesù c’è il sigillo definitivo della benevolenza di Dio, quel dono inatteso e straordinario che strappa dalle labbra del ladrone pentito l’invocazione che riscatta una vita mancata: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42).

Tuttavia, di fronte al mistero del sangue versato, non univoca è la risposta. Il volto perdente e sfigurato genera scandalo innanzitutto tra i discepoli. Gesù ne era consapevole: “Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte” (Mt 26, 31). Il volto autentico di Dio si svela, si manifesta tra fughe e abbandoni (“Allora, tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono”: 26,56), nel silenzio colpevole di chi si vergogna e segue da lontano (Mt 26,58), nel rinnegamento esplicito che è dettato dalla paura di condividerne la sorte (Mt 26,69-74), rinnegamento attenuato dal panato amaro del discepolo fragile e timoroso (Mt 26,75).

Quella persona che i discepoli avevano frequentato mentre insegnava, operava prodigi, guarigioni, addirittura risuscitava i morti, man mano che assume i tratti dello sconfitto, non lo si riconosce più (“non conosco quell’uomo”, impreca e giura Pietro: Mt 26,74). Come può essere il Figlio di Dio uno che è abbandonato nelle mani degli uomini e che vive l’abbandono persino da parte del Padre?

Tuttavia, è in questo andare incontro alla sofferenza e alla morte da parte di Gesù che avviene il vero e proprio ‘miracolo’ che ci dischiude a una conoscenza più profonda ancora del volto di Cristo e come il centurione pagano possiamo riconoscere: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39).

Il Signore entra nel cuore della fragilità umana, la abita; non la disprezza ma la assume.

È il paradosso della forza di Dio che si manifesta nell’amore, nel perdono, nella consegna di sé al punto che Gesù diventa nelle mani dei suoi nemici quello che essi ne fanno: nelle mani di Giuda diventa solo la possibilità di un baratto per 30 denari, nelle mani di Pietro è uno sconosciuto al punto da rinnegarlo, nelle mani di Pilato un oggetto da mercanteggiare. Nelle mie mani?

Ecco lo scandalo della croce che non possiamo comprendere con la sapienza umana. È un Messia che non possiamo “capire” se non entrando in una prospettiva completamente rovesciata che è quella di chi perché l’altro viva non esita a versare il suo sangue.

In Cristo, Dio condivide la sorte e il dolore dell’umanità, senza sconti e senza corsie privilegiate. Il nostro Dio è un Dio che ha accettato addirittura l’infamia di uno che muore in croce, maledetto da Dio e respinto dagli uomini. La Scrittura, quando parla di lui, ne parla sempre con dei sentimenti che sono tipicamente umani: è un Dio che soffre per amore, un Dio che piange, un Dio che sente il nostro lamento e si mette accanto al suo popolo. Il profeta Zaccaria pone sulle labbra di Dio queste parole: “Chi ferisce voi, ferisce la pupilla del mio occhio”.

Perché tutto ciò? Per amore. Un amore disinteressato, un amore che si effonde sugli uomini al di là di ogni possibilità di contraccambio o di merito. Un amore gratuito, un amore che non teme il rischio di essere unilaterale, un amore che addirittura non teme di essere offerto pur di fronte alla nostra inimicizia o al nostro odio. “Non ti ho amato per scherzo”, dirà il Signore a S. Angela da Foligno.

Perché amati fino al sangue? Paolo nella lettera ai Filippesi afferma che è proprio dell’amore considerare gli altri superiori a se stessi. Quell’amore che impedisce agli altri di diventare il nostro inferno per dirla con Sartre. È questo che spiega tutta la vicenda di Gesù dall’incarnazione alla passione e morte: un continuo mettersi ai piedi dei suoi, sempre più in basso, lui, il primo Frate Minore.

Dio non viene a salvarci dall’alto con la sua potenza, la sua forza. Dio ci salva, ci libera dimenticando queste sue prerogative per trasformarle in amore, in misericordia, in vicinanza con gli uomini perché li ama sino alla fine.

E qui comprendiamo come il tempo in cui Dio si rivela a noi, non coincide, come forse saremmo più propensi a pensare, con i momenti di successo, di verifica vincente delle nostre capacità, di entusiasmo, di esaltazione, ma piuttosto con le situazioni contrarie, in cui siamo invitati a “raccogliere il nostro niente”, a presentarlo a lui.

Fare esperienza di Dio consiste nell’accettazione della propria personale debolezza, nel riconoscere dinanzi al Dio grande nell’amore la propria personale povertà per ricevere da lui e non da chissà quali nostri stratagemmi, la giustizia che salva mediante il suo sangue versato.