Ci sono notti e notti: non tutte si equivalgono. Ci sono notti in cui nulla sembra avere più la luce di un senso. Ci sono notti in cui non c’è esperienza di fede che tenga: Pietro era andato al sepolcro, aveva visto, il Signore si era mostrato loro la sera di Pasqua. Eppure… Ci sono …
Ci sono notti e notti: non tutte si equivalgono. Ci sono notti in cui nulla sembra avere più la luce di un senso. Ci sono notti in cui non c’è esperienza di fede che tenga: Pietro era andato al sepolcro, aveva visto, il Signore si era mostrato loro la sera di Pasqua. Eppure… Ci sono notti in cui alla fatica impiegata si mescola la rabbia per gli esiti infruttuosi di operazioni su cui eravamo certi di poter contare. Ci sono notti in cui con più forza avvertiamo come una attrazione a voler azzerare tutto, fare come se nulla sia accaduto nella nostra vita: volentieri riporteremmo indietro le lancette dell’orologio per evitare di prendere coscienza che il tempo trascorso nel mentre è passato invano, senza lasciare nulla se non un senso di vuoto. Notti di smarrimento quando Lui è assente. Notti interminabili: le tenebre sembrano sopraffare. Notti che con forza restituiscono soltanto la vergogna dell’essere ancora in vita: qualcosa ci ha strappato parole e speranze. Notti in cui non resta che mollare la presa.
Di quante cose è evocativo quell’io vado a pescare di Simon Pietro. Quasi un passato che ci fagocita e ci risucchia: la sfiducia sembra avere la meglio. A Simon Pietro e agli altri con lui non restava altro: tornare al vomito della propria volontà, avrebbe detto Francesco. Come biasimarli! Chi di noi non conosce battute d’arresto e l’eventualità di stare nella vita come farebbero i gamberi?
Si tratta dell’esperienza di chi non riesce ad aprirsi al nuovo, fatica a misurarsi con un nuovo ordine di cose e perciò cerca rifugio e conforto nella memoria di ciò che è stato o, comunque, nelle proprie competenze, nella propria iniziativa, in quello che sa fare da sempre. Ma, ahimè, da quel passato solo l’amara esperienza di un fallimento: Avete qui qualcosa da mangiare? No, niente.
È il momento di disorientamento e di confusione in cui non siamo in grado di riconoscere i tratti del Risorto: non si erano accorti.
Ma nessuno coincide con le notti di pesca andate a vuoto come nessuno coincide con la propria incapacità ad aprire gli occhi e riconoscere che lui, il Signore, è lì, proprio in quella notte e proprio in quella tenebra.
Indietro non si torna: la tentazione di un ritorno alla normalità da parte dei discepoli è superato da un credito di fiducia che essi accordano ad uno sconosciuto personaggio il quale sulla riva li chiama figlioli, termine che esprime tutta la tenerezza di un legame. Quello sconosciuto chiede loro di riprovare. Una vera e propria richiesta di obbedienza, ma qui l’obbedienza è legata ad una promessa: gettate la rete… e troverete.
È necessario riprendere a frequentare la riva, provare, cioè, a prendere un attimo le distanze da ciò che ci sta travolgendo e fidarci di qualcuno o di qualcosa che già ci sta indicando che la rete va gettata dal lato opposto a quello della disperazione e della diffidenza. Ma io ho ancora una riva da frequentare?
Lui c’è: ti sta solo aspettando. “Non c’è miseria, tradimento, delusione e amarezza che non può essere vinta” (don Alessandro Santoro). Non c’è traversata della storia che a lui non stia a cuore: occhi invisibili ma non per questo meno amorosi seguono con tenerezza il tuo cammino anche se impervio. Ecco ciò che ci manca: questa certezza. Le mie notti gli stanno a cuore. Prova soltanto a rialzare la testa e ad accordare un piccolo credito di fiducia alla vita, la tua.
Ci sono notti che si possono attraversare solo grazie a qualcuno che è rimasto l’unico in grado di ristabilire connessioni senza lasciarsi sopraffare dagli eventi. Non è un caso che sia il discepolo che Gesù amava a riconoscere per primo: è il Signore! Egli è l’unico del gruppo a non essere fuggito, l’unico che quella sera, durante la cena, chinando il capo sul petto del Maestro aveva intuito qualcosa dell’amore che spingeva il Padre a fare dono del Figlio all’umanità. L’unico che il mattino di Pasqua, di fronte alla tomba vuota vide e credette. Lo sguardo nuovo di uno ha dato speranza e coraggio a tutti.
_________
Dal Vangelo secondo Giovanni 21,1-14
In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatrè grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.