A ridosso del Natale siamo già proiettati alla Pasqua mentre celebriamo la festa dell’evangelista Giovanni. A farci entrare nel mistero pasquale sono tre degli amici di Gesù. Ciascuno per la sua parte consegna a noi quasi una diversa prospettiva dalla quale misurarsi con la risurrezione. Essi rappresentano tre modi per incontrare il Risorto. La prima …

A ridosso del Natale siamo già proiettati alla Pasqua mentre celebriamo la festa dell’evangelista Giovanni. A farci entrare nel mistero pasquale sono tre degli amici di Gesù. Ciascuno per la sua parte consegna a noi quasi una diversa prospettiva dalla quale misurarsi con la risurrezione. Essi rappresentano tre modi per incontrare il Risorto.

La prima che incontriamo è una donna, Maria di Magdala, una di quelle che non era fuggita quando il Maestro e l’Amico era stato condannato. La spavalderia degli uomini era stata come raggelata di fronte alla paura del pericolo di condividere la stessa sorte del Maestro. Il femminile, solitamente, è l’elemento che più riesce a reggere di fronte al dramma e all’incombere della prova. Proprio lei, Maria di Magdala, che tanto deve al suo Signore, è la prima a recarsi al sepolcro di buon mattino. E, cosa molto strana, arriva al sepolcro, vede la pietra ribaltata ma non entra: corre subito ad avvisare gli altri discepoli.

A questo punto il vangelo ci consegna un secondo compagno di viaggio: Pietro, il quale, giunto al sepolcro, entra e vede le bende ripiegate. Solo il discepolo amato, il nostro terzo compagno di viaggio, arriva, entra, vede le bende e crede.

Cosa c’è dietro questo diverso modo di misurarsi con lo stesso evento? Non si tratta di tre esperienze diverse ma di tre momenti della stessa esperienza. Maria, la prima ad accorrere, rappresenta l’intuizione che ti mette in movimento, ti fa andare, ti fa percepire che è necessario uscire dall’aria asfittica che si respirava nel cenacolo. E, tuttavia, l’intuizione femminile, sa che deve coinvolgere gli altri. Senza Maria, senza quella intuizione, la pietra sarebbe rimasta aperta ma nessuno se ne sarebbe accorto se non molto dopo. Senza la decisione di mettersi in cammino per manifestare ancora i segni dell’amore, i segni della risurrezione sarebbero rimasti lettera morta. Da non dimenticare che Maria è la peccatrice che è stata perdonata: senza di lei, donna libera perché liberata, donna dal cuore traboccante, Pietro e Giovanni non avrebbero mosso un passo.

In quella corsa che muove Pietro e Giovanni, il discepolo amato è colui che arriva per primo. L’amore, si sa, mette le ali ai piedi. Pietro, invece, è più lento: il ritardo dell’istituzione… Quanta lentezza – è vero – anche in noi pastori che stentiamo a metterci al passo che il Risorto detta: non poche volte altri arrivano prima di noi. Nella Chiesa, infatti, c’è il discepolo amato il quale arriva prima ma sa aspettare. Che meravigliosa immagine di Chiesa! Chi arriva per primo sa aspettare. Ciò che conta, infatti, nella vita e, ancor più, nell’esperienza della fede, non è vantare traguardi raggiunti ma sapersi aspettare per gioire insieme. Ciascuno ha i suoi tempi e il suo passo. Ogni uomo chiede una propria via per credere e Gesù acconsentirà rispondendo personalmente: spezzerà il pane per alcuni, si mostrerà la sera di Pasqua ad altri, si lascerà toccare da Tommaso, condividere del pesce con altri.

Pietro, di fronte al mistero della morte, conosce quasi la paralisi dello stupore. Il vangelo dice soltanto che vede ma resta quasi interdetto. È solo il discepolo amato a entrare, vedere e credere. Perché? Come mai? Perché la fede nasce dall’amore: essa non è la conclusione di un ragionamento ma il frutto maturo di un incontro che ti ha fatto vibrare nel profondo. È possibile credere solo quando si è appassionati amanti della vita. La Pasqua segna un passaggio per noi: da appassiti praticanti ad appassionati amanti della vita!

Cos’ha da spartire tutto questo con noi? Cosa ci annuncia? Ci annuncia che non risorgeremo mai se non credendo che l’impossibile novità di vita è davvero possibile. Tanti segni di vita sono disseminati dentro di noi: guai ad estinguerli, guai a non prendersene cura. Non viene mai da Dio quella rassegnata convinzione che non usciremo dal baratro.

Abbiamo bisogno di stare nella vita come Maria di Magdala, come Pietro e come il discepolo amato: l’uno non sta senza l’altro. Essi sono il modello di un individualismo superato, sono l’esempio dell’attenzione per i percorsi altrui come per i nostri. Occorrono tante Maria di Magdala, ossia persone dall’intuito vivo le quali portano l’annuncio di una tomba vuota; occorrono tanti discepoli amati che, pur correndo più veloci, sanno aspettare; occorrono tanti Pietro capaci di stupore. Occorrono uomini e donne che, nel grembo dell’oscurità, intravedono timidi spiragli di luce e perciò aiutano altri a credere.

Che il discepolo amato che abita in ciascuno di noi ci prenda per mano e ci porti a credere che nulla è definitivamente perduto.

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Dal Vangelo secondo Giovanni 20,2-8
 
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario –  che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.