Le lacrime di un sogno infranto: così le lacrime di Gesù. Le conosciamo anche noi quelle lacrime. Esse sono le lacrime di chi sembra non essere riuscito nel suo intento, sono le lacrime di chi sa di avercela messa tutta ma poi ha dovuto arrestarsi di fronte a quanti hanno preferito tirare dritto per la loro strada, sono le lacrime di chi sa che il suo interlocutore è talmente preso dal suo modo di vedere le cose che non c’è spazio per misurarsi con un’altra lettura della vita, sono le lacrime di chi sta di fronte a qualcuno vittima del suo atteggiamento di sufficienza. Così le lacrime di Gesù che non finiremo mai di contemplare e da cui mai cesseremo di lasciarci bagnare e purificare, anche perché, le sue, sono lacrime che potevano essere risparmiate, se solo avessimo compreso, se solo fossimo stati capaci di non fermarci alla superficie delle cose ma fossimo riusciti a cogliere e a leggere il loro oltre, ciò di cui esse sono segno.
Cosa sono le lacrime? Sono l’amore trasformato in dolore, sono l’amore ridotto all’impotenza nel vedere qualcuno imboccare una strada evidentemente senza uscita. In quei casi ci si sente messi a morte solo per aver voluto bene. “L’amore non è amato, l’amore non è amato”, andava ripetendo Francesco d’Assisi in lacrime, dopo aver ricevuto le stimmate.
Le lacrime di Gesù sono il segno di una passione continuata, versate tutte le volte in cui, come bambini capricciosi, preferiamo restare attaccati al nostro muso lungo, al nostro orgoglio, perdendo così un’occasione che chissà se e quando si ripresenterà.
Un giorno, quando il suo cammino verso la croce incrocerà un gruppo di donne in pianto, Gesù chiederà loro di indirizzare diversamente le loro lacrime: “Piangete su voi stesse e sui vostri figli” (Lc 23,28). Perché mai? Perché in ciascuno di noi c’è qualcosa che sembra ottenebrare i nostri occhi impedendoci di riconoscere tutte le volte in cui Dio ci visita. Accadde alla generazione di Gesù, accade ad ogni generazione.
Il pianto è ciò che in noi dice una resistenza che si scioglie, che è vinta e finché questo non accade, qualcosa continua ad opporre resistenza ostinatamente.
Dio ci visita non con forza né costringendoci all’evidenza: lo fa con molta misericordia. Quando questa non è riconosciuta e accolta, difficilmente comprendiamo la via che porta alla pace. Per questo, sembra quasi che l’unico linguaggio in grado di scuoterci, a quel punto, quando ormai è troppo tardi, sembra essere quello della trincea e della guerra, quello che si abbatte addosso a noi violentemente.
È vero, ne abbiamo fatto esperienza più e più volte: quando abbiamo scelto di restare insensibili agli appelli del Signore a camminare con lui e come lui, ci siamo ritrovati assediati da chi ci ha illuso con manie di grandezza dietro le quali si celava solo un cumulo di macerie.
Alle porte di Gerusalemme, le lacrime di Gesù sono profezia di un sangue che di lì a poco verrà versato proprio per non venir meno all’offerta di amore che il Padre continua a fare ad una umanità incapace di riconoscimento e di accoglienza. Sarò capace di lasciarmi toccare da un amore che arriva non solo fino alle lacrime ma addirittura fino al dono del sangue?
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Dal Vangelo secondo Luca 19,41-44
In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo:
«Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi.
Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».