Viene per tutti, nella vita, un momento di verità, un momento che diventa verifica di tante nostre scelte. E quello che registra la pagina evangelica odierna mi pare proprio uno di questi momenti. Le parole di Gesù ci inchiodano oggi alla sua proposta.
Quando Gesù si accorge di essere seguito da tanta gente, si rivolge loro con una reazione inaspettata. Il testo evangelico si apre con una congiunzione causale: “Siccome molta gente andava con lui…”. E’ importante sottolineare quel “siccome” che la nuova traduzione ha omesso; Gesù si accorge della folla che lo segue, ma ha paura che lo segua senza sapere perché lo fa. Senza percepire ciò che egli vuole da loro. Non si accontenta che gli vengano dietro e neppure che gli dimostrino ammirazione e amicizia. Gli interessa piuttosto che abbraccino il suo progetto di vita: una scelta vitale e liberante, ma impegnativa, che sottintende la rinuncia ad alcuni assoluti. Siccome tanta gente andava con lui, dice: andateci piano. Pensateci bene. Un Gesù che dice le cose come stanno. È un Dio che ci prende sul serio: non gli interessa che lo si segua per l’entusiasmo di un momento, non è in cerca di consensi. La scelta deve essere consapevole.
Di fronte a una pagina come questa a me viene spontaneo dire: no, non sono discepolo, non sono cristiano.
Gesù pone una condizione che non è facoltativa, anzi, è dirimente. Tanto è vero che afferma che se non c’è questa, non si può essere suoi discepoli.
La condizione suona alquanto dura ai nostri orecchi per via di quel verbo “odiare”: il mondo biblico per esprimere il concetto della preferenza, del posporre come interesse ricorre alla dura espressione di “odiare”. Odiare vuol dire compiere una gerarchia di valori e in questa gerarchia Gesù rivendica a sé il primato, il primo posto, un primato che non può essere spartito con nessun altro.
“Se uno non odia la propria vita…”: ma la vita non si odia, la si ama. Gesù intende dire: tu non sei la misura di te stesso.
E’ questa assolutezza che ci viene richiesta: amare il Signore Gesù più di chiunque, più ancora delle persone più care, più della nostra stessa vita. Su questo viene misurato il nostro essere discepoli. E’ questo il caso serio del cristianesimo, mai concluso. Non si tratta di avere una qualche sensibilità religiosa o una vaga e indefinita fede in Dio, ma di chiederci che posto occupa Gesù Cristo nella nostra vita. E’ una scelta radicale ma non è una scelta contro la propria famiglia o contro la propria felicità. Mi pare una scelta di verità: scegliendo Gesù si impara un modo nuovo di vivere i rapporti interpersonali e familiari, una strada diversa per raggiungere la propria felicità. Mettere Dio al centro della propria vita significa porre una garanzia che preservi ogni altro amore.
La proposta di Gesù suona come un invito a non rimanere chiuso nel piccolo cerchio della tua casa, facendone la misura dei tuoi giorni.
È il coraggio della scelta. E perché la scelta ci sia, occorre il coraggio di rivisitare le nostre relazioni. Avere il coraggio di lasciare. Certo, l’abbandono, la separazione ha in sé qualcosa di doloroso, ma se non tagli, la vita non potrà crescere e il futuro non avverrà: ci sarà la ripetizione, ma non il futuro.
Sono parole pericolose quelle di oggi, se capite male, perché l’accento non è posto sulla rinuncia ma sul desiderio che viene prima: chi di voi vuole seguirmi. L’accento va posto sull’essere discepolo. Il centro non risiede nella rinuncia ma su quello che hai scoperto. Nel vangelo ogni rinuncia è motivata da un dono e da un amore, perché tu diventi ciò che ami. La vita avanza nella misura in cui è abitata e attraversata da una passione e non a suon di rinunce.
Tutto il cristianesimo è essere suoi discepoli ed essere suo discepolo significa: guardare a lui, entrare in lui, partecipare alla sua vita. Essere come lui. Vivere come egli ha vissuto, amare come egli ha amato e scoprire in questo “come lui” lo scopo e la misura del vivere e del morire. Significa legare il timone dell’aratro ad una stella, per dirla con un proverbio africano. E questa stella è Gesù Cristo.

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Dal Vangelo secondo Luca (14,25-33)

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».