Quella di Padre Pio è una figura che rischia di essere accostata in modo superficiale quando ci si ferma agli aspetti più secondari del Santo, quelli che hanno a che fare con il nostro desiderio/bisogno di vedere dei segni. Il rischio, infatti, è di non riuscire a cogliere chi c’è dietro quei segni e di cosa è impastata la sua umanità. Accadde già tra i Giudei e Gesù, è accaduto con Padre Pio, accade tutte le volte che siamo attratti da una lettura cronachistica e, dunque, superficiale dei fatti senza riuscire a cogliere la portata di quegli eventi.
Per questo ho voluto fare un viaggio a ritroso e cogliere il retroterra di Padre Pio. C’è una storia che lo precede (come, del resto, per tutti noi) e c’è una esperienza che lo accompagna.
“Ora noi abbiamo il pensiero di Cristo” (1Cor 2,16).
Per capire la figura di Padre Pio, credo non si possa prescindere da questa espressione di san Paolo. L’apostolo si rivolge ad una comunità vivace per i doni e le esperienze e, tuttavia, divisa al suo interno. Paolo individua in queste divisioni una falsa sapienza, vale a dire una mentalità ancora immatura perché carnale e non spirituale, vale a dire un modo di vivere solo per se stessi. C’è un’altra sapienza a cui bisogna attingere, ribadisce Paolo, ed è la “sapienza della croce”, la stessa a cui si è abbeverato padre Pio, tanto da portarla visibilmente impressa persino nel suo corpo mediante il dono delle stigmate. Era accaduto già a Francesco d’Assisi, sulle cui orme Padre Pio sceglie di porsi ancora ragazzo: il voler far suo il pensiero di Cristo vivendo secondo il Santo Vangelo (che è la Regola dei Frati Minori), lo porterà a renderlo conforme alla stessa immagine di Gesù Cristo anche nel corpo.
La “sapienza di questo mondo” è un modo di vivere e di vedere le cose prescindendo da Dio e seguendo le opinioni dominanti, secondo i criteri del successo e del potere. La “sapienza divina” consiste nel seguire la mente di Cristo – è Cristo che ci apre gli occhi del cuore per seguire la strada della verità e dell’amore.
Si comprendono le cose spirituali non attraverso chissà quale studio, come può essere per la sapienza umana, ma mediante la docilità all’azione dello Spirito Santo nel cuore dell’uomo: Dio non cessa di plasmare ogni giorno di più quell’uomo che sono io e che è uscito dalle sue mani. Ma non è scontato che io acconsenta a una simile operazione.
Poco prima del v. citato, Paolo aveva chiesto ai Corinzi: “Chi conosce, infatti, i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato” (2,11-12). Non basta studiare molto: Paolo sostiene che si può diventare “sottili ragionatori di questo mondo” e, tuttavia, non cogliere il senso nascosto delle cose.
Un giorno Gesù, contemplando ciò che era accaduto nella sua vita secondo la categoria dell’accoglienza e del rifiuto, arriva ad esclamare: “Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25).
I “sapienti” di cui parla Gesù sono quelli che Paolo chiama i “sapienti di questo mondo”. Mentre i “piccoli” sono coloro che l’Apostolo qualifica “stolti”, “deboli”, “ignobili e disprezzati” per il mondo (1,27-28), ma che in realtà, se accolgono “la parola della Croce” (1,18), diventano i veri sapienti. Al punto che Paolo esorta chi si ritiene sapiente secondo i criteri del mondo a “farsi stolto”, per diventare veramente sapiente davanti a Dio (3,18). Questo non è un atteggiamento anti-intellettuale: Paolo – seguendo Gesù – si oppone ad un tipo di superbia intellettuale, in cui l’uomo, pur sapendo molto, perde la sensibilità per la verità e la disponibilità ad aprirsi alla novità dell’agire divino.
Attenzione al veleno della falsa sapienza che è l’orgoglio umano. Il problema non è la conoscenza in sé, ma la presunzione, ossia il vantarsi di ciò a cui si è arrivati.
È il pensiero di Cristo, lo stesso pensiero di padre Pio, a purificare il nostro cuore dal veleno dell’orgoglio che è in ciascuno di noi e che è all’origine di ogni fazione dentro e fuori la comunità cristiana.
“Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso” (1Cor 2,1).
L’incontro con Gesù Cristo Crocifisso ha segnato per Padre Pio un nuovo sentire di sé: l’essere amato. E il suo più grande rammarico sarà quello di non corrispondere abbastanza all’amore ricevuto in dono. Proprio la Croce gli farà comprendere che laddove sembra esserci solo fallimento, dolore, sconfitta, proprio lì c’è tutta la potenza dell’Amore sconfinato di Dio.
Padre Pio fu sempre accompagnato da questa certezza: Dio si serve di modi e strumenti che a noi sembrano a prima vista solo debolezza.