‘È volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda…’
Ecco l’evangelo, la lieta notizia, che la liturgia si incarica di recarci. Non perdere nulla. Addirittura Gesù ne fa un progetto di vita perché, afferma, questo è ciò che vuole il Padre.
Volontà di Dio, allora, non è un disegno incomprensibile e dispotico che incute timore all’uomo per quello che da un momento all’altro gli si potrebbe chiedere, bensì il progetto per cui il Padre vuole che nessun uomo si perda. Ci verrà addirittura ripetuto che il Figlio dell’uomo è venuto proprio per questo: a cercare e a salvare ciò che era perduto. A questo e solo a questo tende il Padre: non perdere nessuno e condurre tutti alla risurrezione.
Dunque, la custodia di ognuno e di ogni cosa è ciò che sta a cuore a Dio e che Gesù assume come stile di vita. Un Dio che conta, sì, ma conta non le nostre mancanze al negativo. Noi da lui custoditi, come dirà Isaia, sulle palme delle sue mani, da cui nulla e nessuno potrà mai strapparci anche qualora vivessimo l’esperienza dell’allontanarci da lui. A lui sta a cuore il nostro perderci: ci cerca finché non ci ritrova. E noi sappiamo come Gesù di null’altro si sia preoccupato se non di attuare questa volontà di accoglienza e di salvezza: nessuno escluso.
È bello pensare alla comunità dei credenti come ad una comunità di uomini e di donne che hanno a cuore di non perdere nessuno e se mai qualcuno potrà perdersi non darsi pace finché lo si sarà ritrovato. A immagine del nostro Dio che proprio di questo ha cura
“Nulla va perduto della nostra vita: nessun frammento di bontà e bellezza, nessun sacrificio per quanto nascosto ed ignorato, nessuna lacrima e nessuna amicizia” (don Michele Dho). Dio custode del nostro smarrirci. Persino le lacrime versate Dio conta: le mie lacrime nell’otre tuo raccogli.
Certo, per noi, garanzia di speranza sarebbe non vivere l’esperienza della perdita, sarebbe il sentirsi preservati, al riparo da lutti e lacerazioni. La fede nella risurrezione, tuttavia, ci attesta di una vita più forte della morte, di un amore più forte dell’odio.
E noi che veniamo qui di settimana in settimana a nutrirci del corpo e sangue del Signore Gesù, riceviamo già la primizia, l’anticipo di quella esperienza che vivremo in pienezza alla fine. Che cosa testimonia che riceviamo la caparra di una vita nuova? La nostra disponibilità a far sì che nulla vada perduto. Comincia qui la vita eterna nella misura in cui facciamo esperienza di un Dio così, di un Dio che ha premura persino dei frammenti della nostra esistenza e che, perciò, crediamo, aprirà varchi di speranza anche alla nostra morte. Un Dio che quando siamo tentati di credere che non c’è più una via d’uscita, apre varchi, varchi insperati e inattesi. Lo aveva aperto nel passaggio del Mar Rosso, lo aveva aperto alla morte del Figlio, lo aprirà alla nostra morte e lo apre a quella dei nostri cari.

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Dal Vangelo secondo Matteo (18,1-5.10.12-14)

In  quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?».
Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse:
«In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me.
Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.
Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda».