Il pane per i cinquemila uomini aveva fatto sì che i discepoli vivessero un momento di esaltazione e di successo: era valsa davvero la pena aver lasciato affetti e mestieri per seguire quell’uomo che esercitava un fascino particolare. Erano così gasati (per dirla con un linguaggio che conosciamo) che Gesù aveva dovuto costringerli (proprio così) a raggiungere l’altra riva facendogli toccare con mano che la fede non ha nulla da spartire con il trionfalismo di un’esperienza pure esaltante. Quella costrizione mirava a far comprendere loro quello che può accadere nella vita di un discepolo quando Gesù sembra assente. Dio non ti prende mai per la fame perché non è e non sarà mai la conferma delle tue aspettative, semmai egli è la sovversione delle tue domande e la destabilizzazione delle tue convinzioni.
E, infatti, la fede pronta ed entusiasta dei discepoli durante il bivacco sull’erba, aveva vacillato tanto da meritare l’appellativo di “uomini di poca fede”. Ma le sorprese non erano finite: proprio nel luogo della non fede, una donna pagana rivela agli apostoli che cosa significa credere e quando possiamo dire di credere:
quando si ha il coraggio di rompere con un ambiente domestico che impone un codice consolidato secondo il quale una donna non avrebbe potuto intrattenersi con un uomo;
quando si intuisce che il bene non è prerogativa soltanto del proprio mondo culturale-religioso e che Dio elargisce la sua sapienza anche fuori del proprio recinto (la donna azzarda rivolgersi a un rabbi ebreo, lei che vive un’esperienza religiosa nient’affatto ortodossa);
quando il proprio ambiente non è vissuto secondo la logica asfittica dei “nostri” e degli “altri” (la donna, di fatto, chiede l’abbattimento di quelle barriere secondo le quali l’accoglienza è riservata solo ad alcuni e non ad altri);
quando l’incomprensione non diventa un motivo per ritirarsi ripiegati, ma occasione per continuare a chiedere tenendo testa.
Quanto diversa la capacità di perseverare della donna dalla paura dei discepoli durante la traversata! Eppure avevano appena toccato con mano che cosa era stato in grado di compiere il loro Maestro. Niente da fare: il loro cuore non conosce memoria e tenuta, per questo trema.
Quello con la donna sembrava un incontro da nulla e, invece, diventa il motivo per una diversa considerazione della propria appartenenza a Dio. Passi pure che lei non appartenga al popolo eletto, ma questo non è un motivo per essere esclusa dal cuore di Dio e dall’esercizio del suo prendersi cura di ogni uomo. Il cuore di Dio non conosce la logica dei posti d’onore e della seconda fila. E anche se dovesse accadere di trovarsi all’ultimo posto (non già per una esclusione voluta da Dio ma per una contingenza storica), si è ripagati tutti con la stessa moneta, come ricorderà la celebre parabola degli operai chiamati a lavorare nella vigna in momenti diversi della giornata. Il cuore di Dio non pulsa al ritmo di chi si ritiene unico o primo. È la fede che stabilisce il legame con Dio, non già l’appartenenza a un popolo o il tempo in cui gli si è prestato servizio. Non è il mio nome su un’anagrafe ecclesiastica a dire chi sono rispetto a Dio ma quello che la mia esistenza attesta di lui.
Quanto avremmo bisogno di apprendere dalla fede della Cananea, noi che tutto abbiamo appiattito sul registro dell’abitudine stanca, smarrendo così il senso di stupore per quello che l’incontro con il Signore ci ha meritato. Quanto pane elargito per noi dalla misericordia di Dio sulla mensa della nostra vita, lasciato lì ad ammuffire perché non ce ne rendiamo più conto. Penso al pane della Parola, al pane della grazia, alle tante occasioni a noi offerte per poter crescere nel cammino della fede, alla possibilità di esprimere la nostra fede senza correre rischio alcuno (come, invece, accade altrove per tanti nostri fratelli). Qualcuno si accontenterebbe anche soltanto degli scampoli di ciò di cui noi non sappiamo più che farcene!
La comunità cristiana ha sempre avuto il bisogno di ripensarsi con l’arrivo degli operai dell’ultima ora: la cananea sposta i confini dell’appartenenza religiosa da un limite geografico-culturale alla capacità di essere in sintonia con il cuore di Dio; l’arrivo di Saulo tra i cristiani porterà a riconsiderare il senso della propria missione e ciò che è essenziale per essere discepoli; la presenza di Agostino che tanto ha fatto penare sua madre, diventerà un punto di riferimento nel cammino di ricerca del volto di Dio; l’incontro con il vangelo da parte di Francesco d’Assisi sarà motivo per riconsiderare il modo stesso di seguire il Signore.
Il rischio dei contemporanei di Gesù che non hanno riconosciuto in lui il Figlio di Dio è anche il nostro rischio: forse che siamo consapevoli che incontrando Cristo abbiamo incontrato quanto di più prezioso potesse capitare ad un uomo?

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Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 15,21-28

In quel tempo, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.