Giorno di contrasto quel giorno dopo il sabato. Tutto era cominciato al mattino in un giardino in cui un sepolcro era stato spalancato e tutto termina in una casa, di sera, con una porta sprangata. Dio apre varchi e l’uomo erige difese. Quel mattino in quel giardino una pietra era stata tolta, quella sera, invece, in quella casa era stato usato un catenaccio. Il giorno era cominciato con la morte ormai vinta e termina con la paura che ha la meglio su tutto. Questa paura ha anche un nome: paura dei giudei, paura, cioè, di chi aveva messo a morte la speranza mentre crocifiggeva il loro maestro. Quante cose mettono a morte la nostra speranza!
Ognuno di noi ha i suoi giudei che non poche volte angosciano e destabilizzano. Paure, forse, legate al passato o concernenti il futuro. Paure a proposito di tempi e paure a proposito di luoghi. Paure nei confronti di altri e paure nei confronti di se stessi. Paura della sofferenza e paura della morte. Non sempre riusciamo a gestire le nostre paure, talvolta non riusciamo neppure a dare loro un nome: e, tuttavia, non poche volte sono esse ad avere il sopravvento. Che nome hanno le mie paure? È necessario dare un nome alle nostre paure per guardarle in faccia senza lasciarci dominare da esse.
Accade anche a noi come già quel giorno agli apostoli di non percepire più la presenza del Signore e perciò correre al riparo chiudendoci. Quando si ha paura di tutti e di tutto si finisce per lasciare fuori dalla porta tutti e tutto, riducendo la vita a una fuga senza fine, senza accorgersi più di nulla.
Stando al vangelo la paura ha anche un altro volto: si tratta della paura di avere a che fare con un Dio diverso da come lo avevamo immaginato, un Dio che non sta a ciò che sarebbe normale fare. Come dar torto agli apostoli? Il Messia atteso non rispondeva certo a quei canoni introdotti dalla passione e morte di Gesù. Molto più semplice avere a che fare con un Dio gestibile.
Con Tommaso e come Tommaso ho anch’io bisogno di certezze, di non iniziare nulla senza essere sicuro di farcela. E perciò la paura assume presto i tratti della sfiducia, della mancanza di iniziativa, dell’incapacità ad affidarsi a un Dio che sfugge alla presa perché non riesco a capirlo fino in fondo. È la paura del nuovo attraverso il quale Dio ci visita e a cui corrisponde la tentazione di aggrapparci al passato solo perché lo si conosce meglio ed è perciò possibile gestirlo senza correre rischi.
La paura, ovvero il segno della fedeltà al nostro Dio, il Dio che conferma le nostre aspettative. Ma il Dio in cui noi crediamo è molto diverso: è il Dio che ci sorprende con la morte ma ci sorprende molto più con la risurrezione.
Venne Gesù, stette in mezzo a loro… Sempre così. Si fa presente proprio in mezzo alle nostre paure perché ha l’abitudine di prendere carne non in situazioni create ad hoc ma in quelle segnate dai nostri tentennamenti. Quando non divento impenetrabile e provo ad aprire gli occhi sulla vita attorno a me, la sua presenza non muta il corso degli eventi ma muta l’atteggiamento con cui li affronto: la pace prende il posto della paura e la gioia quello della tristezza. La paura è vinta quando abbiamo la forza di aprire, anzi spalancarle porte a Cristo, come ci ha ripetuto Giovanni Paolo II.
Abbiamo sempre letto Tommaso in maniera negativa, come colui che non si fida di ciò che gli altri gli consegnano. E, tuttavia, con Tommaso e come Tommaso ho bisogno di non accontentarmi dell’esperienza altrui. Ho bisogno di non accontentarmi di affetti di seconda mano. Ho bisogno di non accontentarmi della fede che ho ricevuto: credenti non si nasce, si diventa. Ogni giorno di nuovo, attraverso un nuovo travaglio. Tutto è materiale prezioso perché si edifichi un rapporto con Dio, anche ciò che abitualmente scarteremmo: la pietra scartata dai costruttori è divenuta pietra angolare (come ci ha ricordato il Sal 117). Basti pensare all’incredulità di Tommaso al quale ripete: continua a diventare credente. Non accontentarti di ciò che hai raggiunto.
La vicenda di Tommaso ci ricorda che non è omologabile il rapporto che ognuno ha con il Signore: per alcuni accade la sera di Pasqua, per Tommaso otto giorni dopo. Ognuno ha i suoi tempi e il Signore ha tempo per i nostri tempi diversi. La pazienza del Signore cartina di tornasole del mio modo di rispettare i tempi degli altri.
Dove sarà mai andato Tommaso quella sera per non essere con gli altri? Tommaso è un’assenza per noi. Un’assenza attraverso la quale il Signore rivela qualcosa di sé. Quante assenze ingiustificate nella nostra vita! Non presenti per paura di essere coinvolti! Eppure, Dio ha tempo e attenzione anche per gli assenti.
Tommaso scoprirà che il Signore lo vedrà solo quando sarà insieme agli altri: se è vero che la fede è un fatto che mette in gioco la tua persona non è mai vero che essa sia un fatto privato. Il Signore, per raggiungerci, passa sempre per la via del fratello o della sorella: non esiste, infatti, una fede senza mediazioni.
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Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,24-29)
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».