Chi non ha sognato un tempo e un luogo in cui finalmente deporre ogni ansia e ogni preoccupazione, un tempo e un luogo in cui finalmente essere spensierati sapendo che qualcuno provvede al cibo, al vestito, al presente, al futuro? Non è forse quello che talvolta invidiamo di qualcuno che riesce a dormire sonni tranquilli? Beato te che non hai pensieri per la testa!
Non preoccupatevi… hai un bel da dire, Gesù. E come si fa? Come si fa a non preoccuparsi non dei beni superflui ma di quelli essenziali come il cibo e il vestito? Come si fa a non preoccuparsi quando patiamo l’angoscia di sentirci sospesi nel vuoto, quando non sappiamo se possiamo ancora sperare in un futuro vista la fatica cui siamo sottoposti in questo frangente storico?
Non preoccupatevi… non riducete la vostra esistenza a una corsa disumana all’ammasso.
Non preoccupatevi… riconoscete che tante ansie e affanni inutili hanno un’unica radice: l’incredulità, il bisogno spasmodico di circondarci di beni per nascondere il vuoto che ci portiamo dentro.
Non preoccupatevi… provate, cioè, a guardare la vita da un’altra prospettiva, quella della fine. Chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la sua vita? È soltanto la consapevolezza della nostra impotenza di fronte alla morte l’antidoto a una vita oppressa dall’affanno.
Cosa c’è dietro questa constatazione di Gesù? Se io prendo coscienza di non avere alcun potere circa l’immortalità di questa esistenza terrena, scopro che la riuscita di una vita non sta in ciò che sono riuscito a conquistare e neppure in quello che non ho ottenuto. La riuscita della mia esistenza sta nella consapevolezza di ciò che sono: un figlio amato da Dio. Io esisto ‘per’ qualcuno e ‘grazie’ a qualcuno.
Io non sono come l’erba del campo che oggi c’è e domani verrà bruciata. Io non sono fatto per essere buttato via, non sono fatto per cadere nel vuoto. Sono fatto per l’eternità: sono creatura (vocabolo che traduce il participio futuro del verbo latino creare), cioè prendo forma continuamente dalle mani di un Altro.
Noi patiamo continuamente le crisi di abbandono. Accadeva già a Israele: Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato (Is 49,14). Quante patologie di noi adulti radicano in esperienze infantili di abbandono. La Parola di Dio mi ripete che sono disegnato sul palmo della mano di Dio: è questo che mi permette di credere che i tempi bui non sono mai il segno di un abbandono ma il momento in cui rinnovare la mia fede in quel Dio che non può dimenticarsi di me proprio come una madre non si dimentica del suo bambino. Quel Dio, infatti, non conosce vuoti di memoria.
Non posso fare come i pagani che non hanno l’esperienza di un Dio che provvede bellezza e splendore oltre che il necessario e per questo sono portati ad assolutizzare il qui e ora.
Il problema, infatti, è su cosa io ripongo la mia fiducia, che cosa dà consistenza al mio vivere. Non a caso Gesù definisce i discepoli gente di poca fede, persone per cui l’apprensione per i beni rivela una fede immatura. È la fede nel Dio che sa ciò di cui ho bisogno che mi permette di vincere la tentazione di rinchiudermi nel mio piccolo mondo finendo per farne un idolo. I beni che a me sono dati sono per l’accumulo o come segno di condivisione?
Impegnati ma non preoccupati: è questa la proposta consegnata a noi dal Signore Gesù. Qualcuno ha cura di noi più di quanto immaginiamo. La mia esistenza sta a cuore al Padre che è nei cieli non perché egli andrà in ufficio al mio posto o accompagnerà tuo figlio a scuola. La proposta di Gesù non va intesa come fosse una sorta di farmaco ansiolitico che una volta somministrato, come d’incanto scompariranno le ansie di ogni giorno.
A ciascun giorno basta la sua pena.
Non dimenticare che il passato Dio lo perdona, il futuro Dio lo dona. Non appesantire il fragile ponte del presente con il ricordo dei dispiaceri di ieri o con le paure del domani. Se così fosse il ponte cederebbe. Vivi l’oggi. È tuo. Ti è offerto perché tu lo viva in comunione con Dio (cfr. sr. Odette Prevost, uccisa in Algeria nel 1995).
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Dal Vangelo secondo Matteo 6, 24-34
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.
Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?
Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?
E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?
Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.
Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.
Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».