Non so se a voi capita mai. Talvolta, soprattutto in certi momenti, mi accade di provare una vera e propria nostalgia di evangelo.
Mi ritrovo ad avere nostalgia del Gesù del vangelo, di quel Gesù che aveva attenzione per il “non detto” e che più di una volta ha creato occasioni e opportunità perché affiorasse alle labbra o venisse espresso con un gesto.
Mi ritrovo ad avere nostalgia per un Gesù che di fronte allo spaesamento prodotto dal mutare visibile di alcuni modelli non reagisce con l’ostracismo come se tutto possa essere risolto alzando antichi vessilli o abbandonandosi a sterili lamenti. Non servono a nulla vessilli e lamenti per mutare il corso della realtà. È necessario, invece, misurarsi con la realtà non sognando di ritornare a quella di prima. Accettare di attraversare questa realtà non facendo di ogni cosa una “questione”, quasi i problemi non abbiano un volto. Le questioni si affrontano con formule asettiche, i volti, invece, si accolgono donando tempo e attenzione. Le questioni legate ad un volto non sono mai casi astratti ma ferite di cui imparare a farsi carico, come ci ha insegnato Gesù di Nazaret, anche a costo della sua vita. Prima di un sabato da osservare, prima di una legge da rispettare c’è l’uomo, c’è la donna, ci sono le loro ferite da riconoscere e da curare. E il rimedio non sta certo nell’aggiungere peso a peso, tantomeno buttare a mare chi sta facendo naufragio e fa fatica a guadagnare una riva.
Mi ritrovo ad avere nostalgia di un Gesù la cui parola non condanna ma salva. Quante volte – troppe volte – abbiamo con sufficienza e superficialità sputato fuori drasticamente giudizi, senza accorgerci che abbiamo finito per sputare, magari senza volerlo, su dei volti, su delle storie.
Mi ritrovo allora ad avere nostalgia di un Gesù che capiva le storie, rifuggendo la genericità degli stereotipi che immiseriscono. Quanti gli stereotipi con cui misuriamo il reale! Senza aver mai ascoltato le storie che vi sono dietro, senza mai sospettare che forse, dietro gli stereotipi c’è dell’altro di cui puoi accorgerti solo se sei disposto ad ascoltare.
Mi ritrovo così ad avere nostalgia di un Gesù che aveva attenzione per il clima in cui le storie potessero venire alla luce ed essere timidamente raccontate: penso all’incontro con la samaritana, con Zaccheo, con l’adultera. Incontri accaduti lontani da occhi indiscreti e giudicanti, stroncatori facili che volentieri mettono l’altro sull’attenti o in fuga.
Mi ritrovo ad avere nostalgia di un Gesù che nell’ascolto misura drammi e lacerazioni, quasi timoroso di riaprire  ferite, che conosce il rischio di rivisitare impietosamente drammi. L’ascolto dell’altro un sacramento da riscoprire e da celebrare. Sacramento dimenticato. Sacramento mai istituito perché già conferito a tutti prima di Cristo e per tutte le epoche.
Mi ritrovo ad avere nostalgia di un Gesù che non declama ma che con pazienza ritesse una fiducia proprio là dove sembrava irrimediabilmente smarrita, indicando segnali che non sono mai percorsi obbligati ma solo indicatori per non patire smarrimento. Lo sappiamo tutti: non basta declamare, è necessario accompagnare, dare cura alla relazione, disposti ad accogliere la misura fragile del volto dell’altro, con tenerezza e compassione. E accompagnare – ognuno lo sa per esperienza – vuol dire scoprire significati dentro e non fuori il cammino che l’altro già sta conducendo.
Mi ritrovo ancora ad avere nostalgia di un Gesù che non pensa  a dei luoghi deputati per il vangelo perché tutti i luoghi sono occasione di vangelo, un vangelo lungo la vita, un vangelo per la vita così come accade. Solo quando è lungo la vita il vangelo non è a rischio di caduta nell’immobilità.
Mi ritrovo pure ad avere nostalgia di un Gesù immagine di un Dio che non fa preferenza di persona e tantomeno di preghiera, chino com’è su ogni grido di figlio. Un Gesù messaggio di libertà che rialza il capo, che suscita energie, che inventa percorsi. Un Gesù che con gesto largo, quello del seminatore folle del vangelo, getta semi senza discernere, scommettendo nella forza che abita quel seme.
Mi ritrovo infine ad avere nostalgia di un Gesù i cui occhi erano specchio della compassione di Dio, di chi sa che cosa è la fatica e quanto costi camminare. I suoi occhi – aveva detto un giorno il profeta – sarebbero stati per la donna incinta e per la partoriente. E Gesù ritmava il suo passo, il passo della misericordia, proprio su chi ce l’aveva più lento e affaticato.
Tu, di quale Gesù hai nostalgia? Perché commisurato al Gesù di cui hai nostalgia è il volto di Chiesa che vorresti costruire.