La domanda ha fatto da inclusione a questa II settimana di Pasqua. Quella di Nicodemo, anzitutto, domanda nella notte: Come può un uomo nascere quando è vecchio? Domanda che racchiude ed esprime la nostra personale e comunitaria consapevolezza di impossibilità nella notte che stiamo attraversando: come possiamo nascere quando portiamo i segni evidenti di una vita impedita da cause naturali o personali?
Poi quella di Gesù a Filippo: Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare? che traduce ancora la nostra confessione di essere a corto di risorse per far fronte all’attuale stagione provinciale, ecclesiale, sociale. Come se non bastasse, alla domanda di Gesù fa eco ancora una domanda, quella di Andrea: ma che cos’è questo per tanta gente? Meglio rassegnarsi, suggerirebbe lo scetticismo di Andrea. Atteggiamento che ben conosciamo e che a lungo, probabilmente, abbiamo frequentato.
L’impasse della domanda e della constatazione scettica si supera – ripete a noi il Vangelo – attraverso un nuovo modo di stare a contatto con la realtà: come il ragazzo, anzitutto. È attraverso il gesto del ragazzo che il Signore può continuare la rivelazione di quell’amore di cui ci ha narrato nella notte di Nicodemo: ha tanto amato il mondo da dare. La generosità di Dio ha bisogno, per rivelarsi, della collaborazione di un ragazzo. Una miseria, a ben guardare: cinque pani d’orzo (pane dei poveri, roba da animali) e due pesci. Ma Gesù li chiede e se ne serve, per far comprendere che il senso ultimo del gesto che egli sta per compiere sta nel fatto che ciascuno metta a disposizione quello che ha: solo da qui nasce la vera comunione.
È su questa disponibilità che Gesù mette alla prova i suoi. È su questa disponibilità che mette alla prova noi. Nessuna moltiplicazione: il pane non si moltiplica. Lo si può spezzare, condividere e distribuire. Non c’è nulla di comprato. All’origine di tutto soltanto un dono. A salvarci non è un gesto magico o strategico, ma quello umile e familiare del non trattenere. Sappiamo che questo segno non verrà capito, susciterà una vera e propria crisi a fronte della quale molti prenderanno altre strade.
La confessione della propria impossibilità è solo un primo momento, sincero, certo, ma non vero. Infatti, a ben guardare ci sono cinque pani e due pesci. A guardare la nostra vita il dato di realtà parla in un certo modo. Ma questa non è l’unica lettura: c’è ancora qualcuno che dispone di cinque pani d’orzo e due pesci. Occorre comunque un Andrea che li individui, li riconosca e li porti alla luce.
Non è scontato che quel ragazzo li abbia dati: tutti, in un frangente come quello, potremmo pensare che è meglio tenere stretto il poco di cui disponiamo perché il contrario sarebbe comunque inutile. Con tutta quella folla il poco e il niente si equivalgono. Non così per Gesù.
Quel ragazzo è figura di Gesù che si è lasciato espropriare. San Francesco ripeterà: nulla di voi trattenete per voi… Lasciarsi prendere quello che abbiamo e quello che siamo.
Quel ragazzo ci insegna una conversione permanente, mai conclusa: dalla difesa ostinata del proprium al dono, dall’accaparramento alla condivisione, dal pensare alla propria personale sopravvivenza all’avere a cuore il bisogno dell’altro. Quando persino i poveri condividono, la solidarietà esprime tutta la sua capacità di trasformazione.
C’è ancora una figura che oggi riparte con noi, Gamaliele. Figura dalle vedute non anguste. Uomo capace di rileggere la storia e di non fermarsi al mero succedere degli eventi. Vedere oltre, di questo ci è testimone Gamaliele. Figura di chi non riduce tutto alla sua angusta misura. Quel lasciateli andare non è espressione di menefreghismo ma di chi permette che l’altro sia.
Ciò che eccede alla nostra comprensione (il momento storico che stiamo vivendo è senz’altro nell’ordine di una eccedenza che ci vede impari), infatti, non necessariamente dobbiamo vederlo come una smentita ma come un invito per un diverso modo di stare a contatto con la vita: non ci accada di trovarci a combattere contro Dio.