“Ogni uomo ha la sua notte”, così Alessandro D’Avenia commentava quanto Ch. Baudelaire scriveva a sua madre il 18 ottobre 1860: “Sono terribilmente infelice. Se credi che una preghiera possa essere efficace (non scherzo), prega per me e vigorosamente.
Non solo ogni uomo ha la sua notte ma anche ogni popolo, ogni nazione, ogni tempo. Non sfugge a nessuno, credo, la notte in cui sembra essere piombato questo nostro momento storico per via di fenomeni che coinvolgono ogni persona e ogni forma di convivenza sociale.
L’angoscia pervade tutti quanti noi mentre, di fronte a questo duro presente, misuriamo l’apparente inadeguatezza del nostro sguardo e delle nostre forze. Sembra che non abbiamo più fede, facciamo fatica a intravedere una via d’uscita e affidarsi alla preghiera sembra una inutile perdita di tempo. Abbiamo l’impressione di smarrire il senso delle cose e tutto sembra perdere valore. Ci sentiamo abbandonati persino da Dio. Cosa manca ancora per essere peggiori? Cosa ci sta succedendo? Anche Gesù ha attraversato un simile momento di buio: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Una vera e propria notte oscura.
Cosa fare?
Anzitutto diventare consapevoli che la fine di un mondo non è la fine del mondo. È vero: sta finendo un mondo, quello a cui eravamo abituati, quello che vorremmo difendere strenuamente ma invano. Il credente, però, vede sempre in ogni fine un nuovo inizio. Chi vive ogni istante nella fede e “obbedisce al Signore non si schianta al suolo, come in un pericoloso spettacolo senza rete, ma cade sempre nelle sue braccia” (don Tonino Bello).
Non esiste un progetto a tavolino per attraversare questa notte del mondo e dell’anima. I grandi maestri di vita spirituale hanno sempre insegnato che queste notti si attraversano continuando a credere, ad amare, a sperare. Forse non sentiamo più nulla, ma questo è il momento della fede pura, dell’arrivare a scegliere Dio solo per Dio e non per i vantaggi che potrebbero derivare da una mia relazione con lui.
La notte può essere attraversata quando ci appartiene la certezza che il Salmo 15 così esprime: “Non abbandonerai la mia vita nel sepolcro né lascerai che il tuo santo veda la corruzione”.
La notte non la si attraversa da soli ma in compagnia di qualcuno che ha conosciuto la desolazione, prima e la fecondità, poi di una simile esperienza.
Proprio la notte misura il modo in cui stiamo nella vita, se da padroni o da discepoli, da uomini arrivati o da cercatori. Proprio la notte restituisce a noi una consapevolezza che spesso ci sfugge: la vita non è mai riducibile a ciò che di essa possiamo aver esperito. Chi crede, come chi ama d’altronde, non vive mai la vita come un possesso ma come un dono. La fede come l’amore non chiedono ragioni, semplicemente si fidano. Se è vero che la vita come l’amore appartengono a chi me ne ha fatto dono, anche l’esperienza dell’abisso come la notte, diventerà un tramite attraverso cui mi verrà svelato ancora qualcosa dell’amore e della vita. Per questo la fede è la virtù della notte, del buio: essa è chiamata, infatti, ad attendere che qualcun altro rischiari la nostra tenebra. Se il giorno spinge a cercare perché siamo noi i protagonisti, la notte, invece, sollecita ad attendere: il protagonista è un altro. Può sembrare paradossale ma è solo la notte a mostrare l’infinito proprio mentre sembra che te lo nasconda. Nell’amore come nella fede, più cammini più entri nella notte, ossia in quella esperienza che ti invita a scegliere l’altro, sia esso un uomo o sia esso Dio, solo per ciò che egli è. Non si può parlare di fede se non si entra nel buio della notte come non si può parlare di amore se non quando esso è declinato in pura gratuità.
Il Signore viene sempre di notte: nel Natale, nella Pasqua, nella morte. Viene nel dolore, nel dubbio, nella sofferenza, nella malattia, nella vecchiaia, nel peccato, nel deserto, nella solitudine. Solo quando egli appare è giorno: “Per te le tenebre sono come luce”.
La notte la si attraversa sapendo che essa ha sempre le ore contate. La notte è preludio dell’alba. Le gemme non spuntano forse su rami che sembravano morti? Le spighe non crescono da un seme che marcisce?
Che cos’è la Pasqua se non una morte dalla cui sconfitta nasce la vita nuova?
La Pasqua è un accettare di entrare nella morte nella consapevolezza che proprio quando più nessuna mano umana è in grado di tenerci, ci afferrano le braccia del Padre.
Se è vero che ogni uomo ha la sua notte, è altrettanto vero che la notte non ha mai l’ultima parola sulla vita dell’uomo.