Vita e morte a confronto. Gesù ha appena restituito alla vita l’amico di Lazzaro e su di lui si profila una sentenza di morte. Il segno per eccellenza – restituire alla vita un uomo morto – non è riconosciuto nella sua chiarezza. Quanti segni Dio continua a operare! Eppure essi non si impongono mai in modo univoco. Fanno sempre appello alla libertà di lasciarsene interpellare o meno. Segni evidenti di vita possono, talvolta, produrre come effetto un ostinato rifiuto. Nulla è evidente, nulla parla per chi ha già deciso di non aprire il proprio cuore.
Qualcuno persegue i propri interessi a discapito della vita di altri. Qualcuno è talmente preso dal non riuscire a mettere in discussione il proprio modo di vedere le cose – e quindi il proprio potere – da non farsi scrupolo alcuno nel mettere a repentaglio la vita altrui. C’è una ragion di stato che deve prevalere a qualsiasi costo. Quanto diversa la ragion di stato dalle ragioni di Dio: Dio non sopporta che sia un altro a morire, per questo offre sempre e solo se stesso.
Come entrare in questi giorni santi? Col desiderio sincero di essere purificati. La purificazione, quando è vera, non coincide semplicemente con una recuperata integrità morale ma con la disponibilità a fare dono di noi stessi, proprio come il Signore. Immacolati nell’amore, dirà Paolo. A salvarci non sarà un rito in più ma il rinnovamento di sguardi, pensieri, gesti.
Da che parte ci poniamo? Non è mai definitivamente sicuro che il nostro modo di vedere le cose sia poi così diverso da quello che il vangelo riporta. La folla è sempre mutevole: fa in fretta a passare dall’acclamare Gesù come Messia a richiederne con insistenza la condanna a morte.
Che cosa è conveniente? È questa la domanda che deve fare da viatico in questi giorni santi. Per Caifa è conveniente che muoia un altro. Per me, invece? Se per Caifa è conveniente che muoia uno per tutti, Dio trasforma quella volontà di morte in motivo di dono. Se, infatti, non può impedire che certe cose accadano, può, però, immettervi un senso nuovo e così il peccato diventa luogo del perdono e la morte quello in cui trionfa la vita nuova, un omicidio diventa offerta e il rifiuto dell’uomo l’occasione per una rinnovata misericordia.
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Dal Vangelo secondo Giovanni 11,45-56
In quel tempo, molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che Gesù aveva compiuto, [ossia la risurrezione di Làzzaro,] credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto.
Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinèdrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione».
Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.
Gesù dunque non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove rimase con i discepoli.
Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?».