Secondo il nostro modo di vedere sarebbe già una grande cosa se riuscissimo ad assaporare il ravvedimento di chi ha sbagliato. E, tuttavia, secondo il vangelo, questo non basta. Non basta restare spettatori compiaciuti di un eventuale percorso di conversione intrapreso da chi ha compiuto il male. Non basta riaccogliere chi ci ha fatto del male. La giustizia della quale il Signore ci chiede di essere amministratori si dispiega nel facilitare un tale percorso, nel renderlo possibile. Per questo Gesù chiede di creare una nuova opportunità nei confronti di chi “ha qualcosa verso di noi”. A noi il primo passo, se davvero abbiamo compreso qualcosa di quel Padre che “non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe”.
“Va’ prima!”. Non serve a nulla salire i gradini di un altare per offrire qualcosa a Dio, se prima non abbiamo deciso di varcare la soglia di chi può averci fatto del male. Senza questo “prima”, ogni vita religiosa è una esistenza idolatrica che nulla ha da spartire con il Padre di Gesù Cristo. Si tratterebbe di un Dio opera dell’uomo il quale benedirebbe i nostri percorsi di allontanamento. Per il nostro Dio, invece, non basta trovarsi ai piedi di un altare e lontani dal cuore dell’altro.
Non basta non uccidere, occorre piuttosto creare occasioni perché l’altro possa vivere di più e meglio. Infatti, abbiamo sempre inteso l’esperienza del perdono come un mettere un freno al male già inferto. Nell’intenzione e nel desiderio del Signore, la disponibilità alla riconciliazione è anzitutto in vista di un incremento di bene.
Non basta non uccidere, è invece necessario evitare di giungere al fare come se l’altro non vi fosse più sebbene egli si rapporti a me come se io non esistessi.
Non basta non uccidere, occorre far sì che l’avversario non diventi mai un nemico.
Essere come il Padre, è questo il senso della giustizia superiore. Come il Padre, ovvero, non preoccupati della difesa delle proprie prerogative ma capaci di far sì che chiunque possa ritrovare l’armonia perduta.
La liturgia di questo venerdì ci porta nel cuore stesso di Dio là dove il Signore, interrogandosi, dice ciò di cui ha “piacere”: non certo della morte di chi ha sbagliato. E io di cosa ho piacere?
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Dal Vangelo secondo Matteo 5,20-26
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: Stupido, dovrà essere sottoposto al sinèdrio; e chi gli dice: Pazzo, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».