“Come mai..?.”. In effetti, diciamolo pure, il banchetto al quale il Maestro prende parte è un po’ strano: forse questa volta Gesù ha esagerato davvero. Come dare torto ai Farisei, così compiti nei loro rapporti, precisi nei loro giudizi, composti nelle adunanze pubbliche, attenti a tutte le prescrizioni della Legge?

È un banchetto (e chi narra non mente) dove approda di tutto, il peggio della società del tempo: pubblicani, ladri e disonesti, collaborazionisti con l’autorità romana, prostitute, emarginati e miserabili…
Un vero e proprio scandalo quello che Gesù procura, non c’è che dire…! E in effetti dicono: “Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?”.
È un “come” che non esprime voglia di capire, di aprire l’animo, e liberarlo dall’ottusità di un perbenismo ipocrita. E’ un “come” che vuole solo dichiarare una proibizione, interdire una licenza eccessiva che Gesù si era preso; era come dire: Perché ti permetti di fare quello che non puoi e non devi fare? I Farisei non hanno voglia di capire. Sanno tutto, e quindi devono solo impedire, perché quello che accadeva sotto i loro occhi doveva essere bloccato, tanto risultava assurdo e “contro” la Legge.
Mangiare con pubblicani e peccatori era ritenuto un gesto gravissimo e scandaloso, perché violava le prescrizioni della purità che vietavano la comunanza di mensa con stranieri e peccatori. Spiegando la ragione del suo scandalo, Gesù non lo attenua ma lo ingrandisce: «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». Dunque Gesù è venuto a chiamare i peccatori. Dunque nessuno è a priori escluso dalla sua chiamata.
Si pensava di onorare Dio separandosi dai peccatori mentre Gesù fa il contrario, mostrando in tal modo che la sua rivelazione di Dio è differente. Lo scontro non è solo disciplinare o pastorale, ma teologico.
Ancora più forte e chiara, se possibile, l’espressione «sono venuto per…», che intende sottolineare la ragione profonda dell’incarnazione, lo scopo della venuta del Figlio dell’uomo. L’accoglienza dei peccatori è dunque un tratto essenziale della missione di Gesù, non un tratto periferico o opzionale.
La risposta di Gesù, nella versione di Matteo, tocca il cuore del problema: “Andate e imparate…”.
Che cosa dobbiamo imparare? Sì, c’è una Legge da capire ancora, c’è una volontà dell’Altissimo ancora da osservare con tutto l’animo: “…voglio la conoscenza di Dio più degli olocausti”.
I Farisei pretendono di insegnare, ma finiscono per disattendere quanto risultava scomodo rispetto ai loro schemi. I Farisei preferiscono ignorare riguardo al Dio della Legge la sua “complicità” con i peccatori: “Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”. Il Fariseo non riesce a spiegarsi e non vuol capire la sorprendente prossimità di Gesù a Matteo, il pubblicano, e agli altri invitati nella stessa casa (e non potevano essere che della stessa “taglia”!).
Tale prossimità culmina nello scandalo della chiamata del peccatore a divenire perfino discepolo: “Seguimi”. Matteo si alza e segue il Maestro. Per chi osserva è un salto troppo grande, è impossibile, è tutto un imbroglio. Quello di Gesù passa per un idealismo che inganna, perché non poteva essere possibile quanto Lui lascia sperare.
Gesù fa uscire la persona dall’anonimato, e soprattutto dagli stereotipi comuni che riguardavano anche Matteo, uno dei pubblicani.
È solo quel contatto personale inaspettato a smuoverlo, è solo il segno che qualcuno lo ami veramente a metterlo in cammino, quando per l’opinione diffusa non sembrava essercene alcun motivo. Probabilmente quel pubblicano, pur collaborando con tanti per complicità, non si era mai sentito stimato e amato da nessuno.
Nessuno era riuscito a guardarlo “dentro”: invece “Gesù vide…”.
Finalmente arriva uno che non lo ingiuria, non lo disprezza e non lo evita, ma anzi lo chiama per nome. Gesù gli rende il favore della tenerezza, proprio quella che sconvolge Matteo.
È sempre la tenerezza di un altro che ti fa essere qualcuno, è lo sguardo promuovente di un altro a farti sentire la voglia di ricominciare.
La misericordia. Matteo ha incontrato in quello sguardo tutta la tenerezza che si era negato e che gli avevano negato, tutto il bene che non pensava possibile, tutto il rispetto di chi ti ama davvero, di chi oltrepassa i tuoi limiti, i tuoi peccati, le tue scelte spregevoli e vede in te ciò che tu non vedi più: l’uomo che potresti essere.

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Dal Vangelo secondo Luca  5,27-32
In quel tempo, Gesù vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì.
Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla numerosa di pubblicani e d’altra gente, che erano con loro a tavola.
I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Gesù rispose loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano».