Tanto la storia degli inizi quanto quella che ha come protagonista Maria, mettono a tema il dialogo, l’importanza della parola. La storia riparte da un Dio che instancabilmente ritesse la possibilità di un dialogo.
Cosa rappresenta per ciascuno di noi la disponibilità al dialogo? Esso è uno dei modi per esprimere l’amore e l’importanza di un legame. Non è un caso, infatti, che quando i nostri rapporti conoscono momenti di fatica e di logorio, uno dei modi per sottrarsi alla disponibilità ad avere a che fare con l’altro è proprio il non parlargli. Evitare la parola è come dire all’altro: tu per me non esisti. Per questo, il permettergli di parlare è come riconoscergli un diritto alla vita, all’esserci. È un attestare da una parte la sua dignità e dall’altra la sua importanza per noi. Conferire diritto di parola a qualcuno vuol dire non sottrarsi alla relazione e diventare consapevoli che il suo mutismo finirebbe per intaccare qualcosa della mia stessa identità.
Il progetto degli inizi contemplava proprio una esperienza di comunione che vedeva nel passeggiare di Dio alla sera con l’uomo una delle forme per riconoscere quale importanza egli rivestisse agli occhi del Creatore. Il desiderio di Dio era proprio quello che l’uomo fosse il suo interlocutore privilegiato, per questo, anche quando il rapporto si sarà incrinato, sarà ancora egli a prendere l’iniziativa di rivolgere la parola all’uomo pur di non interrompere il dialogo. Si metterà sui passi dell’uomo proprio per parlargli.
L’uomo, tuttavia, vorrebbe sottrarsi volentieri a questa opportunità perché ha finito per dar credito a ben altra parola la quale, non solo ha segnato inesorabilmente il rapporto con il Signore, ma anche quello tra di loro. Il peccato degli inizi, infatti, racconta proprio l’assenza di dialogo tra l’uomo e la donna: non c’è parola tra loro: la donna ascolta soltanto il serpente, finendo per far piombare in una esperienza di solitudine proprio chi era stato pensato per la comunione.
Il sottrarsi al dialogo fa scaturire la paura che è il primo esito del peccato. Da qui tutta una serie di conseguenze<. Il vergognarsi, il nascondersi, l’accusare. L’uomo tocca con mano che senza il dialogo con Dio non ha un luogo dove riconoscersi e perciò non ha futuro.
Dio, però, non si rassegna a una simile situazione. Eccolo quindi sui passi dell’uomo: “Dove sei?”. La parola fa capolino nuovamente. E l’uomo si consegna nella sua verità: la paura, la vergogna, la nudità. Poiché non si dà uomo senza esperienza di dialogo, nell’istante in cui sceglie di recidere quello con Dio, eccolo alla ricerca di altre esperienze simili. Mi ha sempre colpito che in dialetto genovese, per dire che un ragazzo e una ragazza si stanno per mettere insieme, si dica: “se parlan”. Con chi amoreggio? Perché dopo l’esperienza del peccato, la relazione con Dio è sempre frutto di una scelta e perciò di una lotta. Nulla più come prima. È vero: tutta la Scrittura non sarà altro se non il tentativo da parte di dio di riaprire il dialogo per far rivivere la comunione iniziale. La domanda che Dio pone al primo uomo – “Dove sei?” – percorre tutta la storia della salvezza nel tentativo di ricostruire il dialogo interrotto. Ecco cos’è il peccato: uscire dal dialogo con Dio per prestare ascolto ad altre parole che finiscono per essere fuorvianti e mortifere. Quanto mai vero ciò che ripete il Salmo : “Se tu non mi parli, io sono come chi scende nella fossa”.
Poiché Dio non si rassegna, eccolo pronto a coinvolgere uomini e donne capaci di accogliere la fiducia della sua parola: Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, Davide, Isaia, Geremia… fino a Maria, l’unica che non ha bisogno di nascondersi perché l’unica che non hai interrotto il suo dialogo con Dio. Quando, per mezzo dell’angelo, il Signore le chiede “dove sei?”, Maria non prova paura e per questo non esita a dire: “Eccomi”. Pur percependo la grandezza di ciò che le vien chiesto, Maria chiede solo spiegazioni, cerca di capire in che modo accadrà quanto le è chiesto. Il turbamento di cui pure fa esperienza, non le impedisce di restare nella relazione e perciò in ascolto di quanto le viene annunciato. Cosa ascolta? Senz’altro ascolta ciò che per mezzo di lei potrà accadere a vantaggio dell’intera umanità, ma ascolta, anzitutto, quello che Dio avrebbe voluto annunciare ad ogni uomo: “Non temere… hai trovato grazia presso Dio”. Se è vero che la paura è l’esito del peccato, la fiducia è il frutto genuino della grazia, dell’amicizia offerta da Dio. È detto a Maria, ma in lei a tutti noi. Ecco cosa ci ricorda l’Immacolata Concezione di Maria. L’immacolatezza si riacquista solo grazie alla fiducia accordata a ciò che Dio chiede. Dio desidera un uomo capace della sua fiducia. Il “sì” che Maria risponde all’angelo, perciò, non è soltanto il “sì” al fatto che accada l’incarnazione del Figlio di Dio: esso è anzitutto il “sì” ad essere ciò per cui l’uomo era stato pensato – concepito – e, perciò, creato. L’uomo, terreno fecondo in cui lasciar accadere tutto ciò che Dio propone. L’uomo, ovvero l’ascolto.
L’Immacolata Concezione di Maria ci ricorda che ciò che all’inizio poteva accadere naturalmente, ora è possibile solo per grazia: passare dalla paura alla fiducia, dalla vergogna all’accettazione, dalla solitudine all’alleanza, è solo perché Dio sceglie una creatura capace, semplicemente, di fidarsi.
Ecco dove inizia un cammino di santità: dal fidarsi.
Ecco dove inizia il cammino della libertà: dall’ascolto di ciò che Dio dice.
Maria ci ricorda, quest’oggi, che la nostra verità non è l’affrancarsi capriccioso dalla relazione con Dio. La verità dell’uomo non è il suo limite o il male di cui è responsabile, ma ciò che di nuovo Dio vuol fare con ciascuno di noi, per grazia.
“Dove sei?”, chiede Dio. “Nel tuo amore e nella tua amicizia”, risponde Maria.