Una festa che parla di noi e a noi, quella dell’Immacolata. E ci annuncia che, contrariamente a quanto abbiamo sempre creduto, all’inizio, nell’in principio della nostra storia non c’è anzitutto un’esperienza di caducità, di male ma l’esperienza di un amore gratuito. In principio un’esperienza di tenerezza e di cura da parte di Dio per l’uomo. Non anzitutto un peccato originale ma una grazia originale. Io voluto da Dio: ciascuno di noi è nato amato.
La benedizione dell’uomo, della donna, della terra viene prima di ogni vincolo etnico e di ogni esperienza etica. E permane nonostante la ferita prodotta all’interno della relazione con Dio dall’incredulità dell’uomo e della donna. Un’alleanza che rimane indefettibile, sempre offerta all’uomo, ad ogni uomo.
Che strano! Noi, infatti, esperti come siamo della difficoltà a stare a contatto con l’esperienza del gratuito, la possibilità di un amore di Dio per noi, di una grazia per noi, l’abbiamo relegata alla fine quando, solo dopo aver attraversato un’esperienza terrena più o meno improbabilmente riuscita, ce la saremo meritata. Della serie: ma io ci andrò in paradiso? Mentre, la festa dell’Immacolata – la nostra festa – viene a dirci che tutto di noi, il nostro corpo come il nostro tempo, sono da sempre nel segno di una benedizione, ancor prima di cominciare ad esistere. Ancor prima di poter esercitare una responsabilità, prima di poterci misurare con un tema morale, prima di pensare che la salvezza va guadagnata, esiste già una benedizione di Dio su di noi. Maria è lì a ricordarcelo. Nessuno di noi si guadagna alcuna benedizione: essa è prima della possibilità di essere o non essere bravi.
Maria, infatti, è lì a ricordare la primigenia intenzione di Dio: quella di potersi interessare liberamente degli esseri umani e del loro mondo. Questa è la sua volontà: prendersi cura degli umani. Sulla scia di Maria questo è chiamato a rammentare la comunità cristiana ad ogni generazione di umani: il debito di uno sguardo di benedizione.
Non a caso, perciò, proprio all’inizio del nuovo anno liturgico, torna la festa dell’Immacolata: chiamati a fare memoria della cura di Dio che continuamente ci precede. Quando io ero “nessuno” Dio mi ha raccolto e quando addirittura ero “nulla” Dio mi ha creato.
Abbiamo bisogno di guardare a Maria perché sappiamo, ciascuno per la sua parte, come facilmente faccia capolino in noi la possibilità di non credere che poi Dio, tutto sommato, abbia davvero a cuore la mia sorte. È il peccato di incredulità che si traduce nell’esperienza del sospetto. Fu così che sin dall’inizio il male fece la sua comparsa sulla terra: sospettando che Dio ci nascondesse qualcosa e che perciò volesse mortificare il desiderio dell’uomo. Questo sospetto ha nutrito non pochi di noi e per non poco tempo.
È per questo che di fronte a una coscienza nutrita da una tale ambiguità, tutta la passione di Dio e tutta la storia di Dio con gli uomini non è altro se non il tentativo di recuperare la propria immagine autentica, non contraffatta dal nostro sospetto. Tanto è vero che quando l’uomo e la donna vollero toccare con mano ciò che fantasticavano su Dio, scoprirono nient’altro se non l’eleganza con la quale Dio – una volta di più – si prendeva cura dell’esperienza vergognosa del loro sospetto che null’altro aveva prodotto se non la consapevolezza di essere nudi.
Riempie di stupore il fatto che Dio si ponga al livello della confusione dell’uomo che gli fa dire: “Ho avuto vergogna…”. E a loro che non avevano trovato di meglio che coprirsi con delle foglie di fico Dio “li chiamò presso di sé e insegnò loro a cucirsi dei vestiti”. Dio si china così misericordiosamente su una vergogna ingiustificata, fa sua la confusione dell’altro e la cura con un gesto tenerissimo: quello di cucire dei vestiti, cioè istruzioni per vivere. La vergogna, infatti, che cos’altro è se non la presa di distanza da se stessi? Insegnare a cucire dei vestiti significa dare delle istruzioni su come riprendere contatto con se stessi, con la totalità di se stessi perché nulla di noi è da buttare via, solo dobbiamo imparare a gestirlo. Il gesto di preparare dei vestiti significa che non sarà più automatico il cammino verso la possibilità di diventare se stessi.
In guardia dal sospetto, dunque, ci ripete Maria, perché il sospetto si traduce molto spesso nel credere che se non strisciamo ogni giorno davanti all’altare, da Dio potrà venire anche il nostro male. Dio solo sa quanto abbiamo respirato un’aria simile!
All’inizio, perciò, un’esperienza di tenerezza, di dedizione incondizionata che neanche il tuo peccato o il tuo sospetto riuscirà mai a modificare neppure di una virgola. Neanche se lo ammazzi.
Una dedizione incondizionata che non puoi cambiare se strisci davanti al suo altare, non la puoi cambiare se paghi la decima, se osservi la legge o se preghi chissà quanto. La sua volontà è incondizionata, da sempre ed è soltanto questa: potersi prendere cura di te. E quand’anche avessi peccato quanto potresti, egli ti fa dei vestiti. Da quel giorno, ogni giorno.