Come stare nei giorni in cui Dio sembra assente? Come stare quando sembra tutto inutile, quando ci si stanca di tutto, di Dio, degli impegni presi, del lavoro, delle amicizie, della stessa famiglia, della vita in generale?
Ci accompagna non poche volte la sensazione di essere definitivamente abbandonati sull’orlo del precipizio del non senso, del nulla, del vuoto. Come se la nostra vicenda non interessi ad alcuno. Men che meno a Dio. Quante volte abbiamo alzato invano le mani al cielo!
È qui che risuona per noi questo strano invito di Gesù: stare nella vita senza stancarsi. È l’invito a non frapporre mai interruzione alcuna, anche quando l’attesa si è fatta estenuante e Dio sembra sempre più in ritardo rispetto alle nostre invocazioni. È l’invito a opporsi in tutti i modi a quella eventualità molto a portata di mano, di arrendersi al tratto immodificabile del presente. È l’invito a non smettere di attendere e preparare un futuro possibile. È l’invito a non sedersi accettando con rassegnazione l’inesorabilità di una vita interrotta.
Cosa fa, infatti, sul nostro fisico la stanchezza? Vorrebbe convincerti di concedere una tregua al corpo perché è evidente che esso non possa reggere oltremodo. La conseguenza della stanchezza è appunto il sonno, il momento in cui qualcos’altro ha la meglio su di noi. C’è un ordinario della vita che è talmente pesante da risultare immodificabile, come se ci vedessimo costretti alle mitiche fatiche di Sisifo (condannato a portare su e giù per la montagna un macigno mentre i piedi sono legati a una catena). Tutto è troppo noto, tutto troppo prevedibile e perciò tutto troppo deludente. Chi può ancora desiderare qualcos’altro quando la vita ti chiede di arrenderti a questa evidenza? Abbandonarsi al sonno è un po’ un voler far sì che sia esso a compiere per noi ciò che noi neppure più osiamo immaginare. Qualcosa che finalmente ci strappi via il tratto di fatica dell’esistenza.
Non sfugge a nessuno che un simile modo di stare nella vita finisca per logorare non poco, impedendo ogni possibile riscatto. Ma allora c’è una via d’uscita possibile? C’è rimedio alla stanchezza?
Gesù non a caso ci restituisce il volto della vedova che non si piega e non si rassegna. Anzi, sembra quasi che proprio lo stato delle cose appena descritto, smuova in lei una decisione e un proposito ostinato. Non bada a ciò che le sta intorno (l’insopportabilità della situazione e l’inaffidabilità del giudice). Guarda a ciò che non ha mai smesso di portare nel suo cuore: l’affronto della vita, il suo dolore, non è sopportabile. Questo è sufficiente perché non si rassegni.
Talvolta ripieghiamo verso una scelta ragionevole che ci faccia mettere in conto che in fondo poi non è possibile avere tutto dalla vita. La vedova non si piega ad un simile ragionamento e, in maniera sorprendente, raggiunge ciò che ha sempre sperato di ottenere.
È un ragionamento delicato quello di Gesù. Egli infatti solleva il problema della fede. Il guaio – sembra dire Gesù – è che voi pensiate tanto male di Dio da nutrire il sospetto che a lui in fondo non gli interessi nessuno degli umani. Il problema, infatti, è che voi non credete che a Dio stiate ancora a cuore anche quando tutto sembra smentire questo; voi non credete che Dio vi porti ancora nel palmo delle sue mani. Finiamo per accusare Dio di non averci ascoltato quando, in realtà, Dio per noi non è mai esistito, perché non ha mai avuto niente da dire e anche qualora l’avesse avuto, neppure ce ne siamo accorti.
Comprendiamo così che pregare sempre non vuol dire moltiplicare parole all’infinito. La preghiera è piuttosto un’attitudine del cuore: sapere che il Signore è presente ed è possibile vivere con lui, di lui, per lui.
Il senza stancarsi mai indica piuttosto uno stile di confidenza, di fiducia: mettere nel cuore di Dio ciò che mi sta a cuore. Ma anche: lasciarsi mettere nel cuore ciò che sta a cuore a Dio. E così scoprire che forse quanto sto continuando a chiedere non è secondo il cuore di Dio. Anche Gesù chiedeva con insistenza di non bere il calice della passione ma poi ha compreso che non era per quella via che si sarebbe compiuto il progetto del Padre. Pur sentendo su di sé tutta l’opposizione dell’ingiustizia, non verrà meno nella fedeltà. Sarà proprio l’entrare in quel mistero di debolezza a cambiare il corso della storia, non già il riuscire a ottenere, mediante la preghiera, di restarne fuori.
La preghiera non è una parola magica che cambia il corso degli eventi. Quanta nostra preghiera è pervasa di una simile mentalità: voler cambiare le situazioni. La preghiera cambia il cuore e questo ci aiuta a vivere con amore dentro la storia, comunque essa sia.

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Dal Vangelo secondo Luca (18,1-8)

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».