Se ci si ferma a una lettura superficiale del brano evangelico odierno verrebbe da concludere che il Signore è ingiusto: ad alcuni, infatti, è dato avere accesso alla rivelazione dei misteri di Dio, ad altri no. Perché mai? Stanno davvero così le cose? No, non stanno così: a chi si ferma a un approccio superficiale nei confronti della vita non è dato cogliere la portata degli eventi per la propria vicenda personale. Non è che Dio abbia deliberatamente escluso alcuni e favorito altri, ma sappiamo per esperienza personale che, pur trovandoci di fronte allo stesso evento, non univoca è la lettura da parte nostra. Non tutti ci lasciamo interpellare allo stesso modo. Si tratta, perciò, di un’autoesclusione, dovuta o alla superficialità con cui si sta nella vita o alla chiusura del cuore di fronte alla quale il Signore si arresta. Può mai guarire chi non ammette di essere malato e, quindi, bisognoso del medico? Dio continua a stare alla porta del nostro cuore e a bussare: sta a me, però decidere se aprirgli o meno.

Tanti della generazione di Gesù non hanno riconosciuto in lui il Messia tanto atteso: “Molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono”. Questo è vero per ogni generazione di credenti: Dio continua a visitarci in modi e tempi che egli stabilisce. Può riconoscerlo solo un cuore che si lascia mettere in discussione da ogni piccolo cenno e riesce a intravedere, anche se in forma velata (ecco il linguaggio delle parabole che non si spiega da sé ma va compresa nella storia di ognuno di noi), i segni della visita di Dio.