Incredulità e sconcerto sono stati la mia prima reazione quando, mercoledì mattina, ho appreso della tragica scomparsa di Evelina. Non poteva essere, non potevo crederci come, immagino, tutti coloro che dal 24 marzo 2022 hanno avuto modo di conoscere la piccola Evelina e la sua famiglia.
La sua gioia, la sua voglia di apprendere, il suo essere piena di vita, la sua capacità di farsi voler bene avevano conquistato tutti: sullo sfondo plumbeo di una guerra assurda, Evelina era il segno che davvero è possibile sperare ancora. Sebbene risentisse gli strascichi lasciati da un ingiusto aver dovuto lasciare la propria terra, riconosceva il bene di cui era circondata e questo le permetteva di attraversare la fatica che si era lasciata alle spalle.
Tutto quello che si annunciava come proiettato verso l’avventura di un’esistenza meravigliosa si è interrotto e spezzato nel giro di poche ore. Le domande angoscianti, quelle più serie e che allo stesso tempo non trovano risposte umane, ascoltando la Parola del Signore sono illuminate da una speranza che solo Dio può dare, anche se non ci restituisce l’esistenza di una bambina che aveva una vita intera davanti a sé e che tutti noi vorremmo ancora qui.
La nostra non è una commemorazione ma disponibilità a vivere nella fede la pasqua di Evelina. Il rischio, infatti, in simili frangenti è dire parole di circostanza, vuote e, perciò, falsamente consolatorie.
Ben a ragione, Giobbe, agli amici che sputavano sentenze, ribatte: “Quel che sapete voi, lo so anch’io; non sono da meno di voi. Ma io all’Onnipotente voglio parlare, con Dio desidero contendere… Siete tutti consolatori molesti. Non avranno termine le parole campate in aria?… Anch’io sarei capace di parlare come voi, se voi foste al mio posto: comporrei con eleganza parole contro di voi e scuoterei il mio capo su di voi”.
Per non provare solo lo sgomento che una simile tragedia può generare, è necessario che tutti raccogliamo il gemito che viene dal corpicino martoriato eppure bellissimo di Evelina vestita di bianco come per una festa di nozze. Me la immagino mentre, prendendo in mano i lembi di quell’abito e guardandosi allo specchio, continua a ripetere: “Non sono bellissima?”. Bellissima in vita, bellissima anche nella morte.
Eppure, tutto sa di violenza in questa morte così prematura, sa di furto, di sopruso, di ingiustizia, di crudeltà.
Tornano nel cuore e sulle labbra le parole del salmo fatte proprie persino da Gesù: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.
Come tenere insieme la nostra fede in un Dio che sappiamo essere il Dio della vita, a cui stanno a cuore persino i capelli del nostro capo e il constatare che una vita è stata spezzata nel fiore degli anni? Lo confessiamo: non riusciamo a tenere insieme questi elementi e patiamo l’imbarazzo. Ed è spaesamento, disorientamento.
Siamo autorizzati a farlo: dire a Dio la nostra angoscia senza giri di parole, senza la paura di essere allontanati da lui, senza temere di offendere Dio con i nostri sfoghi. Anche Gesù, nel colmo della sofferenza, ha messo tra lui e il Padre il macigno di questo interrogativo: “perché?”, senza però che questo impedisse il rapporto con lui.
Questa ribellione interiore che accomuna quanti oggi siamo qui non va rimossa. Essa è il frutto e il volto dell’amore che a vario titolo lega ciascuno di noi a Evelina e alla sua famiglia.
I due discepoli di Emmaus ci impersonano tutti. Anche la nostra, quella intrapresa, è una strada imboccata al tramonto, il tramonto delle nostre umane attese. Per quanto si riesca a ricostruire la dinamica dei fatti, ci manca la capacità di restituire un senso a questo evento. Ed è quello che si incarica di fare con noi il Signore Gesù che ci accosta proprio su questa strada del tramonto della speranza. Lo fa con discrezione, quasi in punta di piedi, mettendosi al nostro passo e chiedendoci di non aver paura di esternare quello che ciascuno di noi si porta nel cuore.
Questo evento chiede a noi di discernere quale parola è custodita in esso per ciascuno di noi.
Questa è l’ora della fede… è l’ora, cioè, in cui siamo chiamati ad entrare in una esperienza di fiducia: la morte di Evelina, infatti, non è l’ultima parola, anche se noi non sappiamo come, anche se non sappiamo quali risvolti questo evento potrà avere sulla nostra vita.
Se credi… vedrai la gloria di Dio… così Gesù a Marta.
Se credi, se ti affidi, si aprirà per te, nella tua vita, una fessura e da quella fessura vedrai in che cosa consista la gloria di Dio. Marta, quel giorno vide una strana fessura, una strana gloria, uno strano Dio, un Dio che piange. Un Dio che siede accanto e piange è un segno di risurrezione oggi. Noi prolunghiamo la sua gloria quando, come Gesù, piangiamo e singhiozziamo, quando ci ribelliamo all’aria di morte.
Tutte le volte in cui Dio sembra indifferente al dolore degli uomini, in ritardo sulle nostre invocazioni, non è segno che non gli siamo amici. Gesù non è venuto ad alterare il ciclo normale della vita fisica, liberando l’uomo dalla morte biologica, ma a dare alla morte un nuovo significato. È il compito che attende ciascuno di noi: è Evelina a chiedercelo da quella cattedra scomoda sulla quale è salita.
In natura esiste un fiore bellissimo che fiorisce solo per 24 ore, si chiama Hemerocallis. Anche se dura così poco, esso rivela una bellezza unica, singolare, proprio come la piccola Evelina, fiorita per una manciata di anni che però hanno riversato su tutti noi tanta bellezza e tanta vitalità.