Li aveva sconvolti. Mc dirà addirittura che li aveva scandalizzati. Come dargli torto del resto? La pretesa era davvero fuori luogo: lui, che fino a qualche giorno prima aveva vissuto in mezzo a loro, era il Messia? Da non credere. Appunto.
E poi quel suo modo di parlare. Davvero sovversivo e provocatorio, non comune. Aveva detto di essere stato inviato a portare ai poveri un lieto annuncio, ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista e a rimettere in libertà gli oppressi. Cosa avevano da spartire essi con un simile annuncio? Erano forse poveri? O prigionieri? O ciechi? O oppressi?
E come se non bastasse, da parte sua nessuna forzatura, nessuno costretto a riconoscerlo solo perché magari non aveva operato qualche segno prodigioso come invece era accaduto altrove.
Nei suoi compaesani non c’era fede e lui certo non avrebbe speso un minuto di più per convincerli. Egli resta un dono offerto solo per chi sente interiormente di dover riannodare un rapporto infranto. Resta invece uno scandalo per chi presume di sé e non avverte il benché minimo bisogno di liberazione, di gioia, di luce, di possibilità di riprendere a camminare.
Ma cosa c’era di tanto sovversivo in quel suo discorso? Di che cosa aveva parlato? Di un Dio alla portata di tutti. A patto che non si presuma di diventarne padroni ma ci si riconosca poveri bisognosi di un lieto annuncio, prigionieri che necessitano di una esperienza di liberazione. A nulla vale vantare la sicurezza della appartenenza se questa non porta a riconoscere come Dio sta parlando e operando anche fuori dai nostri confini. Solo storia di Nazaret o anche nostra?
I nazaretani si ritenevano “dentro” solo perché appartenenti al popolo dell’alleanza e paradossalmente finiscono per cacciare fuori quel Dio che è venuto ad allargare i loro orizzonti e le loro frontiere. Solo storia di Nazaret o anche nostra?
Qui, davanti ai vostri occhi, aveva detto loro. Finalmente, avrebbero dovuto gridare. E invece no. Rimangono prigionieri della diffidenza. Davanti a loro un riscatto possibile eppure essi non riescono a vedere altro se non il figlio di Giuseppe. Chiamati a dischiudersi, ad aprirsi, a lasciarsi interpellare, diventano incapaci di vedere ciò che sta accadendo sotto i loro occhi. La presunzione di sapere ha la meglio sulla disponibilità a lasciarsi interessare e interpellare.
Il ritenere tutto come ovvio finisce per non far riconoscere ciò che di diverso pure sta già germogliando, la familiarità finisce per dare tutto per scontato, l’abitudine finisce per leggere ogni cosa solo come stanca ripetizione di un passato senza sbocchi. Non c’è posto per il modo nuovo attraverso il quale Dio si sta manifestando. L’orgogliosa presunzione del proprio sapere. Solo storia di Nazaret o anche nostra?
Quel loro atteggiamento tradisce profonde convinzioni che attraversano il cuore di tanti credenti: quale novità mi può venire da ciò che mi sta abitualmente intorno? La salvezza non può mai venire da qualcosa di scontato e conosciuto. Poiché il quotidiano ha finito per diventare solo un vano succedersi di cose risapute, dagli altri non posso che aspettarmi se non ciò che io ho già previsto. Nulla di più. E la vita che “è la voce terrestre e storica” di Dio finisce per non parlarmi più. Solo storia di Nazaret o anche nostra?
Essi continuano a chiedere segni straordinari proprio mentre antiche profezie stanno compiendosi davanti a loro. È proprio vero che sarebbe tutto diverso se ci si vedesse clamorosamente cambiata la vita? La salvezza si compie solo per chi ha occhi per vederla e un cuore per accoglierla: c’erano molte vedove al tempo di Elia ma a nessuna di esse… c’erano molti lebbrosi al tempo di Eliseo ma nessuno di essi fu risanato se non Naamàn, il Siro. Dio non ha un territorio di appartenenza: è padre tanto delle vedove di Sidone quanto dei lebbrosi di Siria.
Tragico il destino di quella sinagoga: per non essere stata capace di accogliere quella “carta conosciuta” che era Gesù, il figlio di Giuseppe, si priva di colui che Dio stesso aveva loro inviato. Più tardi, credendo di dar gloria a Dio, ne metteranno a morte il Figlio.
Qualcosa di nuovo accade nella nostra vita quando qualcuno acconsente a fidarsi del modo attraverso il quale Dio ha scelto di rivelarsi. La salvezza per noi viene sempre da ciò e da chi non ce lo aspetteremmo mai. E se Dio avesse scelto per parlarci il figlio del falegname?

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Dal Vangelo secondo Luca 4, 24-30
 
In quel tempo, Gesù [cominciò a dire nella sinagoga a Nàzaret]: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidóne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo, ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costrita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.