Di fronte alla croce. Siamo inviati a sostare dinanzi a quella che è al contempo “immagine della sofferenza” ma anche “immagine dell’amore di Dio”, “immagine di impotenza”  ma anche “immagine di misericordia”, “immagine del silenzio” ma insieme “immagine di una particolare parola del Signore”. La croce “diventa così un invito a vivere ogni esperienza, compresa quella della sofferenza e della suprema impotenza, nell’atteggiamento di chi crede che l’amore misericordioso di Dio vince ogni povertà, ogni condizionamento, ogni tentazione di disperazione”.
La croce ci parla di un Dio nascosto. Un Dio che pur operando nella storia, si nasconde dietro i suoi avvenimenti. Anche se nascosto non è assente. La nostra storia, personale e comunitaria, va letta come luogo nelle cui pieghe c’è una potenza dinamica, ricca di energie capaci di rinnovare, di trasformare e che pur tuttavia resta nascosta e richiede un occhio tutto particolare per riconoscerla, accoglierla e valorizzarla. La passione di Gesù è senz’altro una situazione storica in cui la presenza-assenza del divino, misteriosa e ricca di potenza è espressa nel suo apice. Un nascondimento voluto. Al discepolo che voleva  difenderlo con la forza da coloro che venivano per catturarlo Gesù aveva intimato: “Rimetti la spada nel fodero…Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli” (Mt 26,52-53).
La passione di Gesù va dunque letta come il momento in cui la potenza di Dio, e addirittura la sua gloria, si è espressa nell’umiliazione e nella passività del Figlio dell’uomo torturato a morte. Nella croce si riflette, come in uno specchio, il Vangelo.
Sosteneva il filosofo Paul Ricoeur, che “La nostra fede ha un valore strutturante ed è pure sorgente di riflessione sulla condizione umana, sui rapporti dell’uomo con se stesso e con gli altri… Entrare nel movimento della fede è decidere di fare di Gesù Cristo, il principio organizzatore della propria vita, della sua comprensione e del rapporto con altri”.
La croce di Gesù, infatti è un “no” a una figura del divino inteso quale onnipotenza dispotica, vendicativa, quale limitazione invidiosa dell’umano e del suo cammino, quale incapacità di dono e di auto‑donazione, quale santità inconciliabile con la misericordia. E un “no” detto a un divino in cerca di una vittima designata.
Dalla croce di Gesù viene anche un discorso sull’umano: è un “no” detto a un progetto come quello che si è espresso in coloro che per invidia o sete di potere hanno messo a morte Gesù.
Dalla croce Gesù propone in positivo un altro tipo di umanità: è l’umanità di chi vive la beatitudine dei miti e degli operatori di pace. E’ la proposta di un rovesciamento di mentalità e di comportamento. La mentalità propria di chi riconosce che il nostro Dio appare non di rado nella vicenda umana come un “Dio nascosto”, un Dio che opera nelle pieghe della storia, anche sotto il velo dell’umiliazione e della sconfitta: in tutto ciò egli manifesta il suo amore per l’uomo, il suo perdono e la vittoria della sua misericordia. Proprio per questo si riconosce che Dio fissa l’appuntamento con lui in quelle situazioni, persone o realtà alle quali noi non assegneremmo mai un compito di rivelazione del divino. Anche là Dio si nasconde. E pur tuttavia è presente.

___________

Dal Vangelo secondo Marco 8,34 – 9,1
In quel tempo, convocata la folla insieme ai suoi discepoli, Gesù disse loro:
«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.
Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita?
Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».
Diceva loro: «In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua potenza».