Erode si pone la domanda su Gesù, ma la sua curiosità non gli consente di essere introdotto alla comprensione profonda di quell’uomo di cui sente dire determinate cose. Non basta essere curiosi perché si creino le condizioni di un vero incontro tra lui e Gesù. Lo sappiamo anche per ciò che concerne i nostri rapporti.
La sua è la curiosità propria di chi ha bisogno di esercitare il controllo, di far sì che nulla sfugga alla sua presa. Erode proprio non ci sta. Io non ci sto quando qualcosa attenta il mio delirio di onnipotenza. Erode, infatti, mi impersona non poco: accade anche di ritrovarmi a fare domande e, tuttavia, a darmi io stesso le risposte. Quando la realtà eccede, Erode non ci sta e per questo decapita, annienta, distrugge. Non riesce a scendere dal trono delle sue supposizioni per fare il passo di andare incontro all’altro.
Erode è figura di chi ha una reale difficoltà a incontrare e a lasciarsi incontrare, per questo si ritrova in uno stato di confusione che altalena tra il restare perplesso e l’ascoltare volentieri.
Erode, un uomo che aveva paura di tutto e di tutti, vittima dello stesso potere che egli credeva di esercitare incontrastato: infatti, proprio l’esercizio di esso, talvolta, è frutto di convenzioni e pressioni di cui si è schiavi. Da burattinaio quale riteneva di essere, diventa in un attimo burattino.
Superficialità, prodigalità e stoltezza: è su questa combine che si gioca la vita di Erode. La stoltezza ha il suo humus più fecondo proprio nella superficialità declinata come incapacità di saper controllare le proprie parole soprattutto quando non si riesce a cogliere l’esito nefasto di esse. Alla fine finisce per fare il prodigo sulla pelle altrui: non sa fare i conti della sua vita con le proprie tasche, per questo ha bisogno di attingere a quelle altrui.
Mi chiedo che cosa sia per me, oggi, il Battista che devo accettare per intraprendere un percorso di verità…

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Dal Vangelo secondo Marco 6,14-29

In quel tempo, il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi». Altri invece dicevano: «È Elìa». Altri ancora dicevano: «È un profeta, come uno dei profeti». Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!».
Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.
E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.