Un vivo desiderio abita il cuore dell’uomo: riconoscersi nella gioia dell’incontro con l’altro. L’a tu per tu, poter vedere il volto dell’altro, poter gioire della presenza dell’altro è ciò che  muove la maggior parte delle nostre scelte. Fatti come siamo per il dialogo, per la relazione, la possibilità di un incontro struttura e determina la nostra personalità. Per mancanza di incontri si muore.
Dio che conosce il cuore dell’uomo perché creato a sua immagine e somiglianza (ci hai fatti per te, riconoscerà Sant’Agostino, e il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposerà in te), fissa l’incontro con l’uomo su un terreno paritario di cui assume fino in fondo le conseguenze. Patiamo tutti, infatti, il ritrovarci con qualcuno che, incontrandoci, marca la distanza da noi, mentre risuoniamo positivamente quando qualcuno ci mette a nostro agio nella relazione. È proprio quello che fa Dio: “Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe”. Parafrasando potremmo dire: poiché i figli hanno in comune il desiderio di incontrarsi, anche Cristo ne è divenuto partecipe. L’incontro, per essere vero, non può essere etereo: esso, infatti, si manifesta mediante dei gesti che accompagnano, un cuore che accoglie mentre trepida, una bocca capace di raccontare la gioia che pervaso quel momento.
Qual è quel il terreno dell’incontro? La fragilità della condizione umana, ossia quella realtà da cui volentieri prenderemmo le distanze, proprio quella diventa il luogo dell’appuntamento con Dio, svelandoci così che la via verso la perfezione, la via verso la pienezza, passa attraverso l’accettazione della nostra imperfezione. Dio non si rende presente mediante un’idea, neppure attraverso chissà quale singolare percorso spirituale: si serve della carne di un bimbo così tangibile, così umano. Sempre così gli incontri ai quali Dio convoca: mai bypassando l’umano. E quando ciò non accade, è l’incontro con una nostra idea su Dio, ma non con Dio. “Ho avuto fame e tu mi hai dato da mangiare”, ripeterà alla fine.
E perché mai un simile incontro? Perché desiderio di Dio è prendersi cura: “Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo” (Eb 2,16). Si prende cura perché conosce bene la sottile tentazione da parte nostra di lasciare ai margini la nostra umanità, mentre è proprio questa che deve rilucere di straordinaria bellezza. Desiderio di Dio è che nulla di noi resti mortificato ma tutto conosca il suo compimento. Chi ha la grazia di incontrarlo e di leggere la propria storia alla sua luce, non patisce più nessuna schiavitù, neppure quella della morte se è vero che Simeone può chiedere di prendere congedo serenamente, nella gratitudine. Chi ha la grazia di incontrare il Signore riesce a conciliare esperienze fino a quel momento contrapposte: il peccato diventa il luogo della grazia, l’abbandono esperienza di compagnia, la morte inizio di vita nuova.
Tutto questo ha un prezzo; non si dà possibilità di pienezza se non attraverso uno svelamento di ciò che portiamo nel cuore: “segno di contraddizione’ perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,35). Gli incontri, quando sono veri, mettono a nudo e, perciò, lasciano il segno.
Come avviene questo incontro? Mediante il gesto di obbedienza di Maria e Giuseppe che compiono tutto come è prescritto nella legge del Signore. Quante obbedienze sofferte possono essere l’occasione perché il Figlio si faccia ancora incontro a qualcuno! Erano andati per adempiere una legge e si ritrovano a essere il tramite della gioia di due anziani che svelano loro il senso di ciò che accadrà da adesso in avanti.
L’incontro avviene poi attraverso la capacità di Simeone di non impossessarsi del Bambino. Invece di afferrare per possedere, Simeone diventa capace di accogliere e di lasciare andare. L’attesa di quell’incontro  era ciò che lo aveva tenuto in vita: una volta accaduto, Simeone è in grado di vincere la tentazione di cristallizzare il tempo.
Quand’anche non avessi più nulla perché come per Anna la vita ti ha depauperato persino di un legame, ti resta ancora una cosa: la voce, ossia la capacità di condividere ciò che il Signore ha fatto per te in un giorno qualsiasi in cui nulla lasciava presagire un appuntamento con Dio.

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Dal Vangelo secondo Luca (2,22-40)

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore –  come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare,
o Signore, che il tuo servo vada in pace,
secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.