Chissà da quanto tempo Pietro aveva formulato la sua personale convinzione che Gesù fosse il Cristo. Lo aveva seguito, aveva visto tutto quanto aveva compiuto sugli infermi, aveva ascoltato parole che avevano un sapore nuovo. Non poteva che essere così: era il Cristo di Dio. Ne era certo. Non accade così anche a noi? Situazioni ed eventi finiscono per convincerci di una certa lettura delle cose e all’occasione non esitiamo a manifestare la conclusione a cui siamo approdati.

Probabilmente se l’aspettavano una domanda del genere. Prima o poi Gesù avrebbe chiesto loro: ma io cosa rappresento per te? Cos’hai capito di me, della mia vita, di quello che sono e di quello che faccio? Proprio come tra due persone che si vogliono bene.

Una domanda del genere non è certo banale e quando viene posta di fatto segna una svolta all’interno di una relazione. Essa è di quelle che ti coinvolgono anche emotivamente perché ti chiede di esporti: non puoi barare. Se bari parlerebbe già il tuo volto. Per questo non puoi accontentarti di restare sul vago.

E Pietro, infatti, non esita e non bara. Anzi, raccogliendo tutte le sue migliori energie confessa in un impeto di entusiasmo: tu sei colui che da sempre attendiamo. Le opere che tu compi nessun altro potrebbe farle se non fosse il Cristo di Dio.

Chissà, però, cosa avrà pensato di fronte al fatto che Gesù non abbia commentato la sua risposta ma gli abbia chiesto severamente di tacere. Perché tacere? Cosa c’è di errato in quella risposta? Che senso ha tacere se le cose stanno realmente così?

Chissà ancora cosa gli sarà passato per la testa quando Gesù aveva preso a parlare di una passione imminente. Perché dover soffrire? A che cosa servirebbe? Senz’altro sarà parso oscuro quel suo parlare tanto che i discepoli non osano neppure chiedergli spiegazioni. Preferiscono tenersi ben stretta quell’immagine di Gesù che essi si sono formulati, una immagine che non contempla certo l’eventualità che egli possa essere umiliato. Anzi, tutt’altro. La loro immagine prevedeva un successo imminente: a Gerusalemme sarebbe stato riconosciuto di certo come il Messia atteso. In fondo la folla aveva dato più volte cenni in tal senso quando lo cercava per farlo re.

Ma perché i discepoli preferiscono tenersi ben stretta quella loro immagine di Gesù? Come dargli torto, del resto? Quell’attaccamento è indice di un altro attaccamento: quello alla loro stessa vita. Gesù lo intuisce e perciò continua: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso… la vita – continua Gesù -, quando vuoi salvarla la perdi… la ritrovi, invece, nella misura in cui ne hai fatto dono…

Stava forse chiedendo di arrivare a disprezzare la propria esistenza? Affatto. Stava solo invitando i discepoli a impegnare la propria vita nella via della consegna di sé. Quando chiedeva di rinunciare a se stessi ogni giorno proponeva, in realtà, un vero e proprio decentramento: liberarsi dall’attaccamento spropositato e patologico al nostro io, abbandonando paure e intralci che finiscono per imprigionare la vita solo in una logica autoconservativa; abbandonare la pretesa di salvarsi in qualche modo solo nella misura in cui ci si chiude e ci si salvaguarda preservandosi. Per Gesù una simile prospettiva è mortifera: ci si salva, invece, solo aprendosi e donandosi. La vita ha senso solo se è tradotta come un esserci-per-qualcuno. Credo non sfugga a nessuno che l’esserci-per-qualcuno sia il contrario dell’essere-per-se-stessi.

La vera via crucis del discepolo consiste proprio nel resistere all’attrattiva dell’essere per se stessi. Ardua l’impresa se pensiamo di farcela da soli; più lieve, invece, quando si rimane docili a quanto lo Spirito va suggerendo al nostro cuore. È solo lo Spirito, infatti, a far sì che quello che a tutta prima risulta un vero e proprio fallimento (Gesù di lì a poco morirà) possa essere già primizia di risurrezione e di speranza.

Il centurione pagano non esiterà a riconoscerlo mentre vede Gesù morire in croce: veramente quest’uomo era Figlio di Dio. Questo perché Dio si rivela nell’amore, nel perdersi per qualcuno, non già nella prevaricazione.

S. Bernardo scriveva in un suo Sermone: i chiodi mi son diventati chiavi per scoprire il disegno di Dio. Le contrapposizioni sono composte (chiodi che diventano chiavi) nella misura in cui ci si affida al vangelo.

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Dal Vangelo secondo Luca 9,18-22
 
Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto».
Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio».
Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».