Vino nuovo in otri nuovi…
Dio, in Gesù Cristo, ha sposato definitivamente la nostra umanità, facendola sua. Una tale grazia non può non essere accolta nella gioia: finalmente nessuno ci chiamerà più “abbandonati” perché “la terra ha uno sposo”. Come è possibile portare ancora i segni del lutto quando lo sposo è con noi? Perché continuiamo a muoverci negli spazi angusti di un legalismo fine a se stesso senza lasciar trasparire la forza che viene da un legame indistruttibile?
Per questo Gesù muove ai discepoli di Giovanni e ai farisei l’accusa di non saper riconoscere i tempi e i modi in cui stare nei diversi tempi: non tutti i tempi si equivalgono e il modo di stare in un tempo non necessariamente va bene in un tempo mutato. Sono incapaci di rendersi conto del qui, dell’ora, per questo piangono e si mortificano per un’assenza, senza riconoscere e accogliere una nuova presenza.
La presenza di Gesù è qualcosa di talmente nuovo da non essere compatibile con ciò che è vecchio. Accoglierlo vuol dire decidersi; non è più possibile venire a patti e negoziare una convivenza di per sé è impossibile: o il vecchio sistema in cui è la legge a prevalere o il nuovo, in cui è la persona di Gesù ed il legame con lui a determinare scelte e orientamenti. I rattoppi non hanno vita lunga.
Può accadere, talvolta, che il vecchio si accontenti di utilizzare qualche ritaglio di novità per coprire le rughe e così assicurarsi un po’ di sopravvivenza. Le strutture vecchie truccate sono solo un espediente per assicurare alcuni anni di vita in più, ma con quale prospettiva?
Penso a tante situazioni dentro la comunità cristiana che sanno di imbellettamento, in modo particolare nella vita religiosa, soprattutto per far fronte al dramma della crisi delle vocazioni. Si ha paura di presentare in tutta la sua portata il caso serio della scelta per Cristo e, perciò, si finisce di buon grado per introdurre aggiustamenti più allettanti, ma a che prezzo!
Anche noi corriamo il rischio dei discepoli di Giovanni e dei farisei: piangiamo per qualcosa che non esiste più e, tuttavia, non siamo in grado di cogliere la novità che Dio fa germogliare intorno a noi. Non accadrà così anche alla Maddalena la quale intenta com’era a versare lacrime per il “suo morto” sarà incapace di accorgersi del Risorto che era lì davanti a lei?
Il problema, però, è che molte volte abbiamo inteso l’essere discepoli di Gesù come un accogliere il nuovo in piccole dosi, non già come un farsi nuovi. E così mutiamo l’etichetta ma senza controllare la qualità del prodotto. Preferiamo rattoppare le crepe createsi in tante strutture della nostra esistenza e non controllare a fondo, invece, la solidità delle nostre fondamenta.

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Dal Vangelo secondo Luca
Lc 5,33-39

In quel tempo, i farisei e i loro scribi dissero a Gesù: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!».
Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno».
Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: “Il vecchio è gradevole!”».