Molte cose ho ancora da dirvi…
Suona come una provocazione per me questa tua parola, Signore, in questo momento. Quando la morte lambisce la vita in modo così drammatico e improvviso, cos’altro dovrei ancora apprendere? La mia vita sembra una interminabile litania di morte e di morti, papà, Cleto, Peppino, Rosetta, Mario, per richiamare solo quelli più prossimi. Da ben trentaquattro anni ho sempre visto mamma vestita di nero. Cosa dovresti dirmi ancora? L’unica cosa che riesco a fare è andare indietro nel tempo con la nostalgia delle cose vissute, di quando davvero eravamo felici e non ne eravamo consapevoli. A me sembra non avere futuro, mi è di peso questo presente in cui devo attraversare ed elaborare personalmente il mio lutto e farmi carico anche di quello dei miei, lenire la mia fatica e custodire confidenze che mi accompagneranno nella tomba. Che ingrato compito mi hai affidato, Signore! Così verrebbe da protestare a pelle.
Ho una sorta di idiosincrasia per le parole di circostanza, per chi si riempie la bocca di fraternità e non è in grado di esprimere la minima vicinanza, per chi ti usa come agente di servizio e non ha rispetto del tuo dolore, una vera e propria repulsione per chi fa scialo di superficialità anche di fronte al caso serio della vita qual è la morte e passa il tempo a fare congetture. Analfabeti di senso, come ricordavo nell’omelia per Mario, ma ancor di più analfabeti di umanità. Cosa dovresti dirmi ancora?
Per quanto fatichi, però, e per la memoria di come sempre hai accompagnato la mia esistenza, voglio fare quest’ultimo sforzo di crederti. Voglio credere che tu abbia ancora una parola per me.
Ma per il momento non siete capaci di portarne il peso…
Se guardo il mio passato, umanamente parlando non avrei retto ai duri colpi inferti da una vita impari rispetto alle mie forze. Giovane seminarista accompagnare il ricovero di papà al Gemelli e poi la sua morte, il canto del salmo al suo funerale; giovane prete presiedere le esequie di Cleto deceduto nel sonno e di Peppino morto tragicamente; più avanti il lungo calvario di Rosetta e poi anche la celebrazione del suo commiato; quattro giorni fa soltanto, la morte assurda di Mario e le sue esequie. Chi mi ha dato la forza di cantare e di prendere la parola in questa circostanza? Tutti questi eventi mi testimoniano che o la fede è impastata con la vita o semplicemente non è: credere non è altra cosa dal vivere. Chi mi conosce sa che ho una ribellione interiore quando nelle liturgie si dice che “dobbiamo testimoniare” quasi si trattasse di un abito da indossare come per una cerimonia per poi dismetterlo e continuare a fare altro. Se vivi non puoi non testimoniare, se credi non puoi non condividere a quale stella hai rivolto il tuo aratro.
Se guardo il mio passato misuro tutta la mia piccolezza e fragilità eppure so anche di poter gridare con l’apostolo Paolo “tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fil 4,13), andare persino oltre una morte come questa. Non sono un eroe e neppure un essere speciale. Ho solo bisogno di restare umile e riconoscere che davvero “senza di te non posso far nulla” (cfr. Gv 15,5), senza di te potrei solo vacillare.
Vi guiderà alla verità tutta intera…
Negli anni della formazione e anche in quelli più recenti, quanta retorica sul dover essere noi guide di altri, come se tutto dipendesse solo ed esclusivamente dal nostro saper fare o meno! Tu ci ripeti con forza che vivere nella fede vuol dire lasciarsi portare dove, forse, non avremmo mai messo in conto di approdare. Mio compito è quello di acconsentire questo affidamento così da diventare, come voleva Francesco d’Assisi, uno che raccogliere tutte le lettere che tu dissemini nella vita di ognuno di noi perché, diceva, “con ciascuna di esse si può comporre il nome di Dio”, il nome della Trinità.
Egli mi glorificherà…
Questo è il mio e il nostro compito: riconoscere che ogni evento, persino la morte, una malattia, un momento di prova è soltanto un velo da rimuovere per approdare a una diversa visione delle cose. Ma questo ognuno deve farlo per la sua parte. Quando Giuda è uscito dal cenacolo tu stesso hai detto: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato” (Gv 13,31). Allora vuol dire che non c’è circostanza, non c’è situazione in cui non ci sia un varco oltre ciò appare immediatamente. Solo lo Spirito Santo può aiutarci in questo gravoso compito.
Perdonami, Signore, se talvolta recalcitro e vorrei che tu esaudissi il mio desiderio di non attraversare certi guadi e di vedere risparmiati certi snodi, ma la verità tutta intera si rivela solo quando la vita è glorificata, quando le si conferisce diritto di parola perché “de te, Altissimo, porta significatione”.