Pensati per essere il prolungamento dello sguardo di Dio sull’umanità, Gesù, nel discorso missionario di Mt, mette a fuoco alcuni idoli da cui i discepoli non devono farsi condizionare:
il primo idolo è il primato dell’efficienza. Di fronte a una folla stanca e affamata, di fronte a tanti bisogni della società o della chiesa, di fronte alle grandi sfide, l’idolo del primato dell’efficienza suggerisce di stringere i denti, di indurire i muscoli, di fare programmi, di elaborare campagne di sensibilizzazione. Di fronte alla medesima situazione cosa dice Gesù? Gesù smaschera e afferma: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque…”. C’è un padrone della messe: per questo è necessaria la preghiera assidua, fiduciosa, perseverante che apre il cuore anzitutto alle soluzioni di Dio. La preghiera ci permette di riconoscere il primato di Dio: tutto è grazia, tutto è dono, sua è la messe, suoi sono gli operai. Pregare significa riconoscere la propria inadeguatezza e significa confessare che la salvezza viene da un Altro.
Il secondo idolo è l’uso della forza. Nella nostra società riesce chi grida di più, chi mostra più forza, chi dimostra di avere meno paura, chi si sente sicuro della vittoria. Gesù, invece, propone: “come agnelli in mezzo ai lupi”. La forza del vangelo non è la sicurezza di sé. È la forza che proviene dalla consapevolezza che anche la sorte del seme che viene calpestato e  muore nella terra, è una sorte feconda. L’agnello pasquale è vittorioso proprio perché immolato.
Il terzo idolo è il dispiegamento dei mezzi. “Non portate borsa, né bisaccia, né sandali”. Cosa c’è dietro queste parole? C’è il rifiuto di quella equazione subdola secondo la quale: più mezzi vuol dire più risultati; più soldi uguale più opere, più strutture più… È uno degli doli più difficili da abbattere perché porta l’attenzione sui mezzi come se fossero dei fini. I mezzi non sono negati in forma assoluta ma proporzionati ai contesti.
“Il vostro ideale è diventato l’organizzazione, è diventato l’efficienza. Per voi le condizioni per l’evangelizzazione e per una vita cristiana vengono prima dell’evangelizzazione e della vita cristiana stessa, sia che queste condizioni siano da mantenere, se credete che esistano già, sia che siano da creare se credete che non esistano più” (p. Camillo De Piaz).
Il quarto idolo è quello dell’ansia. “In qualunque casa entriate prima dite: Pace a questa casa. Restate in quella casa mangiando e bevendo di quello che hanno”. Lo Spirito ci libera dalla preoccupazione per ciò che devo dire o devo fare, per come difendermi e che non poche volte si traduce come imposizione del mio modo di vedere. Lasciare trasparire pace, serenità, fiducia, spirito di abbandono: questo è già testimonianza di fede. Non si può annunciare la pace da arrabbiati. “Mangiare e bere di quello che hanno” vuol dire entrare nella cultura dei miei interlocutori, presentare il vangelo con il loro linguaggio.
Liberandoci dagli idoli, lo Spirito ci unge con l’olio dell’umiltà, cioè con l’olio della consapevolezza della nostra debolezza e inadeguatezza. Siamo tutti sostenitori che necessitano di sostegno, consolatori che prima hanno bisogno di essere consolati, siamo tutti dei guaritori feriti. Tutti avvertiamo il peso delle vicende in cui siamo inseriti. L’olio dell’umiltà è quell’olio che fa sì che per infondere speranza non è necessario essere sicuri di noi stessi, per infondere fortezza non è necessario essere personalità forti, per infondere gioia non è necessario essere esenti dalla prova. Non è stato così anche per Gesù? Lui il guaritore che è stato ferito, il pastore che è stato percosso, il piagato che ha guarito le nostre piaghe: “dalle sue piaghe siamo stati guariti”.
All’olio dell’umiltà si aggiunge quello del dialogo costante con il Signore per chiedergli non tanto che siamo esenti dalle difficoltà ma che continui a indicarci la strada. Imparare a portare tutto davanti a Dio per discernere con sapienza il cammino da percorrere non indulgendo a discussioni senza fine come gente che ha poche prospettive e orizzonti angusti.
Una missione senza ascolto conduce a un puro efficientismo vuoto e cieco; un ascolto senza missione porta a una fede disincarnata e destinata a spegnersi.
Da non dimenticare che l’annunciatore del vangelo è un povero che va a dire ad un altro povero dove entrambi possono trovare il pane per la loro fame.