Martedì scorso, poche ore prima che Raffaele (il papà di mia cognata Rosa) chiudesse i suoi occhi a questo mondo, lo avevo raggiunto accanto al suo letto di dolore confortato dai suoi cari. Sebbene evidentemente affaticato, mi aveva riconosciuto illuminandosi nel volto. Dopo aver fatto con lui qualche battuta scherzosa a cui non riusciva a …
Martedì scorso, poche ore prima che Raffaele (il papà di mia cognata Rosa) chiudesse i suoi occhi a questo mondo, lo avevo raggiunto accanto al suo letto di dolore confortato dai suoi cari. Sebbene evidentemente affaticato, mi aveva riconosciuto illuminandosi nel volto. Dopo aver fatto con lui qualche battuta scherzosa a cui non riusciva a rispondere se non con il sorriso e con qualche verso di approvazione, gli ho proposto di pregare insieme. Quando gli ho dato l’assoluzione, con le poche forze di cui disponeva, è riuscito a farsi il segno della croce. Sentire che poche ore dopo fosse spirato, mi ha fatto pensare ad una sorta di attesa e di desiderio: come se avesse bisogno di un lasciapassare per potersene andare in pace dopo giorni in cui ha sopportato una grande sofferenza senza mai lamentarsi.
Non era di chiesa, Raffaele, sebbene avesse un suo senso religioso legato alle nostre tradizioni di paese. Era, però, un uomo saggio, di quella sapienza maturata nella fedeltà al lavoro e ai propri impegni, oltre che a quanto tramandato dagli anziani.
Dalla battuta pronta su ogni persona e su ogni circostanza, in realtà, sapeva compiere uno degli esercizi più difficili, che è il ridere di sé, l’arte di non prendersi troppo sul serio che insegna a circoscrivere ogni cosa.
Non era certo il tipo da smancerie ma l’orgoglio per la sua famiglia, i nipoti in particolare, glielo si leggeva negli occhi.
Noi prendiamo congedo da lui nel giorno in cui la chiesa celebra la memoria di tre amici di Gesù, Marta, Maria e Lazzaro che ci aiutano a comprendere come stare di fronte alla visita di Dio.
La loro era la “casa dell’amicizia”. Gesù sapeva che lì, prima ancora che una porta aperta, aperto era il cuore nel segno di una ospitalità che non conosce condizioni. Ci tornerà ancora durante la passione per trovare il conforto di amici su cui sai di poter contare.
Probabilmente, quel giorno Gesù sarà arrivato senza neppure avvisare. E Marta, tra la gioia di sapere che proprio lei aveva accolto l’uomo sulle cui tracce tutti si mettevano e l’ansia di fare bella figura con un ospite di tale riguardo, avrebbe voluto dare il meglio di sé.
Quel giorno era accaduto a Marta quello che succede a noi quando qualcuno vorrebbe essere ascoltato e, nel frattempo magari, stiamo facendo altro: “tu parla pure che io ti sento ugualmente”.
Quel giorno stava accadendo che il da farsi fosse più importante della motivazione per cui lo si stava facendo.
Quel giorno, prima ancora che mettersi in ascolto del Signore, Marta aveva finito per mettersi in ascolto solo di se stessa e della sua solitudine, tant’è che non aveva tardato a farlo notare, guarda caso, proprio al Signore rimproverandolo
Il guaio di Marta è il pretendere che Maria faccia proprio ciò che stava facendo lei. Per Marta esiste solo un modo di accogliere il Signore, il suo. Solo il suo è un lavoro vero, il resto è una gran perdita di tempo. Così, la generosità con cui ha accolto il Signore nella sua casa non trova riscontro nel suo cuore o, meglio, il suo cuore si apre ma a determinate condizioni: la sorella deve darle una mano e il Signore deve rimproverarla.
Dove nascono le nostre tensioni se non nella pretesa del modello unico del mio modo di vedere? Al centro non c’è più il Signore, l’altro ma il mio modo di intendere il rapporto. Per Marta tutto è risolto allorquando è saziato il ventre, fatica a comprendere, invece, che l’uomo è anche altro.
Marta fatica a comprendere che ci sono momenti in cui è necessario sacrificare ciò che è urgente (far da mangiare, in questo caso) a ciò che è importante (ascoltare Gesù).
Maria no, perché aveva compreso che se è reale il bisogno di mettere qualcosa sotto i denti per soddisfare la propria fame, c’è qualcosa di molto più importante da placare: la fame di senso, una fame che nessuno sa come ingannare da solo.
Maria aveva intuito che se non c’è qualcuno che ci faccia dono di una parola altra, insolita, tutto diventa incomprensibile. Come si affronta la morte, una sofferenza, una prova senza la luce che viene dal vangelo? Quanto è difficile in questi frangenti restare in ascolto silenzioso, quanto è logorante affrontare la fatica della relazione! È più facile fare delle cose piuttosto che stare a contatto con ciò che attraversa il nostro cuore. Eppure è proprio questa l’unica cosa necessaria.
Al Signore non importa che si faccia qualcosa per lui ma con lui.
Di una cosa sola c’è bisogno. E io per che cosa mi sto dando da fare? È davvero la cosa giusta ciò che sto facendo?
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Dal Vangelo secondo Luca
Lc 10,38-42
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».