La Pasqua di Rocco si è consumata ieri pomeriggio. Una Pasqua segnata ultimamente da non poca fatica a motivo della dialisi cui doveva sottoporsi. Un grande “perché?” ha accompagnato questa sofferenza fino a quando quasi 15 giorni fa, è subentrato un senso di pace.
Prendiamo congedo da un uomo garbato, con un senso di giustizia che rasentava persino una sorta di “onestà patologica”, tanto era il senso del dovere che lo animava. La fragilità umana gli faceva paura e, per questo, provava ad esorcizzarla con la ricerca di una perfezione che non sempre lo lasciava tranquillo.
Ci aiuta a rileggere e attraversare questo momento la pagina del vangelo di Gv in cui Gesù ci annuncia che volontà di Dio è quella di “non perdere nulla”. Gesù ne fa addirittura un progetto di vita quando afferma, questo è ciò che vuole il Padre.
Volontà di Dio, allora, non è un disegno incomprensibile e dispotico che incute timore all’uomo per quello che da un momento all’altro gli si potrebbe chiedere, bensì il progetto per cui il Padre vuole che nessun uomo si perda.
La custodia di ognuno e di ogni cosa, perciò, è ciò che sta a cuore a Dio e che Gesù assume come stile di vita. Un Dio che conta, sì, ma conta non le nostre mancanze al negativo. Noi da lui custoditi, come dirà Isaia, sul palmo delle sue mani, da cui nulla potrà mai strapparci anche qualora vivessimo l’esperienza dell’allontanarci da lui. A lui stanno a cuore il nostro perderci se è vero che ci cerca finché non ci ritrova. Di cos’altro si preoccupato Gesù se non di attuare questa volontà di accoglienza e di salvezza? Nessuno escluso. Anche la morte, allora, è un luogo visitato da Dio perché nessuno perisca. Ci raggiunge anche lì, per vie solo a lui note.
Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori…
È da questa prospettiva che viviamo questo momento, dalla prospettiva del Dio che non caccia via. L’accoglienza incondizionata, il tratto del Signore Gesù che più ha rivelato il cuore di Dio. Egli non manda via nessuno ma tutto e tutti accoglie perché questa è la volontà del Padre che lo ha mandato. Fedele è il suo amore verso di noi: per questo nelle sue mani osiamo mettere la nostra vita e le nostre morti, le nostre speranze e le nostre perdite.
Aveva accolto scismatici come i samaritani, i marginalizzati di ogni specie dai lebbrosi ai malati ai poveri considerati impuri. Aveva accolto ricchi e pagani, l’uomo sincero che lo cercava di notte e i farisei che tramavano contro di lui. Nessuno mandato via.
Accoglierà per questo anche il rinnegamento, il tradimento, la solitudine e l’abbandono. E da ultima accoglierà la morte come evento drammatico, certo, ma non per questo meno fecondo. Il luogo della maledizione per antonomasia, la morte di croce, diventa espressione dell’amore senza limiti persino per coloro che quella morte avevano inferto.
Dalla prospettiva del Dio che tutto accoglie comprendiamo come ogni accadimento chieda, certo, un morire al proprio modo di vedere il mondo, le cose, l’altro, Dio e dischiuda, se accolto, una nuova fecondità.
Sperimentiamo già qui, già ora la forza della risurrezione quando siamo capaci di accogliere la vita in tutte le sue sfaccettature, anche nell’atto del morire che è pur sempre un evento nel quale entriamo da viventi. Questo stile coincide con il progetto del Padre: non perdere nulla di quanto egli mi ha dato. Tutto il rapporto con l’altro che “accade” nella nostra esistenza riconsegna alla nostra fede la capacità di domandarsi che cos’è, di non darla mai per scontata. Quell’accogliere in maniera incondizionata nasce dalla consapevolezza che ogni incontro aveva a che fare con Il Padre: “so solo che da qualunque parte ci sei tu” (Pattaro).
Quando ci nutriamo del Corpo e Sangue del Signore, riceviamo già la primizia, l’anticipo di quella esperienza che vivremo in pienezza alla fine. Che cosa testimonia che riceviamo la caparra di una vita nuova? La nostra disponibilità a far sì che nulla vada perduto. Comincia qui la vita eterna nella misura in cui facciamo esperienza di un Dio così, di un Dio che ha premura persino dei frammenti della nostra esistenza e che, perciò, crediamo, aprirà varchi di speranza anche alla nostra morte.
Ma ciò che invera tutto questo è il diventare uomini e di donne che hanno a cuore di non perdere nessuno e se mai qualcuno potrà perdersi, non darsi pace finché lo si sarà ritrovato. A immagine del nostro Dio che proprio di questo ha cura.