Lo aveva promesso per bocca dei profeti: Dio avrebbe effuso il suo Spirito in modo interiore ed efficace su tutti. E quel giorno a Gerusalemme accade davvero così: le antiche parole si inverano. E da quel giorno continuano a diventare esperienza viva per ogni uomo. Tutti, infatti, uomini e donne per il dono dello Spirito effuso nei loro cuori possono rileggere alla luce della vicenda del Signore Gesù la propria esistenza ed essere in grado di annunciare il vangelo nella lingua e nella cultura di tutte le genti. Mai monocromatico il nostro Dio. A raccontarlo è solo la diversità che non è più un elemento di divisione ma ricchezza comune.
Tutti furono pieni di Spirito Santo. Quello Spirito che, presso il Giordano, era disceso su Gesù, ora passa alla comunità, alla chiesa. Che cosa sia lo Spirito, lo si vede da quanto ha operato in Gesù dai frutti che ora produce negli apostoli.
E a ciascuno di noi è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune. A ciascuno di noi, dunque. A me. A te. Ne sono consapevole? Quanto sono capace di mettere a disposizione la mia particolare manifestazione dello spirito per l’edificazione di quel corpo di Cristo che è la comunità cristiana? Quali occasioni ricerco per diventare sempre più consapevole della mia particolare manifestazione dello Spirito?
Per l’utilità comune… Recita un antico adagio patristico: unus christianus, nullus christianus. La fede è sempre un fatto personale ma non è mai un fatto privato, vale a dire un solo cristiano non può esistere; non c’è cristiano senza che ci siano dei cristiani da cui ha ricevuto la fede e difficilmente un cristiano può vivere senza che altri proclamino con lui che Gesù è il Signore. Ne consegue che c’è un grembo in cui il cristiano è generato dallo Spirito Santo, c’è un ambiente in cui il cristiano cresce e diventa adulto nella fede, c’è uno spazio in cui il cristiano vive la comunione con Cristo, che è sempre comunione con dei fratelli. E questo spazio è la chiesa.
La comunità cristiana non è altro se non una realtà di uomini e donne che disponibili all’azione dello Spirito, sono memoria perenne del Signore Gesù nel corso della storia. Come è possibile tutto ciò? Gli Atti ci attestano che questo annuncio, questa memoria dovrebbe essere intesa da ciascuno nella propria lingua, vale a dire dovrebbe poter essere congeniale alla diversità degli uomini e dei popoli. Comprendiamo che non si tratta qui dell’annuncio verbale come posso fare io in questo istante.
Essere memoria perenne del Signore Gesù significa abitare le pieghe della storia là dove gli uomini sono continuamente tentati di costruire una unità che non tenga conto delle differenze e lì starci come c’è stato il Signore Gesù. Gesù non ha manifestato una generica e neutrale manifestazione dell’amore di Dio per gli uomini. Sono le parabole della pecora perduta, del figlio prodigo, sono la quotidiana convivialità di Gesù, non solo con i discepoli, ma con i pubblicani e i peccatori, i luoghi nei quali emerge la peculiarità di Gesù Cristo. In Gesù Cristo Dio raggiunge colui che sta fuori, colui che sta lontano. In Gesù Cristo l’amore di Dio è fuori dal centro di coloro che la pensano come noi, fuori persino dall’esperienza di un amore condiviso. Un amore che raggiunge persino gli inferi, cioè i luoghi dell’assenza di Dio perché lì venga annunciata la buona novella. È di questo che noi siamo chiamati ad essere memoria viva e operante.
Essere memoria viva di Gesù non vuol dire certo riservarci nella storia una nicchia dove poter celebrare con tranquillità i riti dello Spirito Santo. Se così fosse stato, i primi discepoli non avrebbero conosciuto l’esperienza dei tribunali e dei patiboli: anche voi mi renderete testimonianza…
Essere memoria viva di Gesù significa, invece, rinunciare ai segni della potenza, al bisogno di contarsi e riconoscere che su ogni uomo e ogni donna lo Spirito viene effuso con abbondanza. Non possiamo, perciò, non riconoscere il grave rischio che corriamo: quello di rinchiudere lo Spirito nelle nostre appartenenze, lui che invece ha la forza di schiudere le porte e di creare delle comprensioni più larghe. Lo Spirito dice una realtà mobile, dinamica, sempre nuova, mai riducibile a una struttura, a una norma o a una dottrina.
Lo Spirito è per la comunità cristiana un elemento incontrollabile, incontenibile proprio come il vento, il fuoco, l’amore. Ne hanno fatto esperienza proprio i discepoli i quali passano dalla paura alla gioia, dal bisogno di difendersi al misurarsi con orizzonti nuovi. Da uomini di parte diventano uomini universali, da custodi dei propri ideali alla capacità di accogliere istanze nuove; da cultori della religione dello sta scritto all’accoglienza di un Dio che non fa preferenze di persone e che a tutti dona misericordia e salvezza.