SUSSIDIO PER LA PREGHIERA PERSONALE O FAMILIARE IN QUESTO TEMPO DI PROVA
20 maggio 2020
(A cura di don Antonio Savone, Direttore Segreteria Pastorale Arcidiocesi di Potenza-Muro L.-Marsico N.)
Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? In tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati (Rm 8.31.35.37)
Introduzione
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Il Signore è veramente risorto, alleluia.
Ed è apparso ai discepoli, alleluia.
Preghiamo
Si compia in ogni luogo, Signore,
con la predicazione del vangelo,
la salvezza acquistata dal sacrificio del Cristo,
e la moltitudine dei tuoi figli adottivi
ottenga da lui, parola di verità,
la vita nuova promessa a tutti gli uomini.
Per Cristo nostro Signore. Amen
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Sal 46
Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perchè terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra.
Egli ci ha sottomesso i popoli,
sotto i nostri piedi ha posto le nazioni.
Ha scelto per noi la nostra eredità,
orgoglio di Giacobbe che egli ama.
Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.
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Dal Vangelo secondo Giovanni (16,20-23)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.
La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla».
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Non temere
“Non aver paura…”. Si realizza la promessa di Gesù nei discorsi dell’ultima cena: “Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi” (Gv 14,18). Si tratta di una parola che torna tantissime volte nella Scrittura a indicare che ne abbiamo bisogno e non solo noi, persino grandi personaggi come Giosuè, Maria, Giuseppe.
“Continua a parlare e non tacere”. Forse Paolo aveva pensato di ritirarsi a motivo dei contrasti sorti a Corinto. Ma il Signore gli chiede di non mollare.
“Io sono con te”. Dio rinnova l’alleanza in un momento di difficoltà. Ad Abramo era stato detto: “La mia alleanza è con te e sarai padre di una moltitudine di popoli”. Paolo si sente affidare il popolo come era stato promesso ad Abramo. Prima di lasciare i suoi Gesù aveva promesso: “Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Non siamo mai soli nelle difficoltà delle nostre giornate.
“Nessuno cercherà di farti del male”. In questa circostanza nessuno metterà le mani addosso a Paolo ma sappiamo che non molto dopo egli morirà martire. Paolo si sente dire che i suoi sforzi missionari, incerti e timidi, sono parte del disegno di Dio.
Cosa ne consegue per noi? L’invito a scavare lì dove siamo, a non abbandonare il posto in cui siamo collocati, lì chiamati a operare ed evangelizzare. Corinto è una tappa fondamentale per la missione di Paolo. Quale la nostra Corinto? È necessario affrontare degli uditori che apparentemente sono refrattari all’annuncio evangelico, degli ambienti che apparentemente resistono al messaggio cristiano.
Inoltre è importante notare che il protagonista di tutta la missione è il Risorto: “Io ho un popolo numeroso” e non “tu avrai successo”. Vale a dire: il popolo è mio. Sono io che ho in mano il suo futuro, la sua conversione: tu, perciò, non temere le difficoltà, le lentezze, le oscurità. Il Signore è al centro dell’evangelizzazione. In Gv 21,16 Gesù dirà a Pietro: “Pasci le mie pecore”. Le pecore rimangono sempre del Signore, noi siamo solo degli strumenti.
Noi, come Paolo, siamo chiamati ad affidarci al disegno di Dio sapendo che il Signore sostiene il nostro servizio. È vero che la resistenza della gente, il poco ascolto, il rifiuto talvolta, ci affaticano, ci logorano. Non dimentichiamo che cosa Paolo scrive in 2Cor 1,8-10: “Non vogliamo che ignoriate, fratelli, come la tribolazione che ci è capitata in Asia ci ha colpiti oltre misura, al di là delle nostre forze, sì da dubitare anche della vita. Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte per imparare a non riporre fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti”. Paolo ha chiaro il valore salvifico e provvidenziale di ogni fatica, di ogni stanchezza: “Da quella morte però egli ci ha liberato e ci libererà, per la speranza che abbiamo riposto in lui”. Le esperienze dolorose e la memoria del passaggio del Signore in quel momento sono motivo di ulteriore speranza.
La consolazione viene dal Signore, è lui che sostiene interiormente, anche se gli eventi esterni sembrano non mutare. Il nostro servizio ha bisogno dell’incoraggiamento interiore, vale a dire di quella visuale di fede che ci permette di leggere anche le cose che non vanno alla luce del mistero di Dio. E ha bisogno anche di piccole gratificazioni esteriori che il Signore a suo tempo concede mediante il conforto umano (gratificazione della gente, ritorno alla fede di una persona da anni lontana).
Non dimentichiamo che Paolo riceve questa consolazione nella preghiera e in una preghiera prolungata e sofferta, in una preghiera che porta davanti al Signore gli insuccessi del suo apostolato.
“La vostra tristezza si cambierà in gioia”: si tratta di una parola che dice riferimento all’esperienza vissuta dagli apostoli nel momento della morte e risurrezione di Gesù: la morte li ha schiacciati mentre la risurrezione ha permesso loro di camminare di nuovo nella fede e nella gioia.
La vita cristiana è fatta di luce e di tenebre, di afflizione e di gioia che si alternano. Gesù non dice: “L’afflizione passerà e avrete gioia”, ma “la vostra afflizione si cambierà in gioia”, sarà cioè il luogo in cui il Signore già prepara la gioia. La risurrezione non si colloca solo dopo la croce, perché è passando attraverso la croce che Gesù risorge.
Nella vita cristiana tutto allora è per la gioia, ma non siamo dispensati dai momenti di sofferenza: essi producono un frutto, che è la gioia e la consolazione di Dio.
(don Antonio Savone)
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Riflessione mariana
22 Maggio
In principio
Quando Margherita Maria Alacoque entrò in monastero chiese alla maestra delle novizie un metodo di orazione. Questa le propose così: “Mettiti come tela bianca di pittore di fronte al Divino Artista e lascia che lui dipinga”.
Vogliamo sostare dinanzi a questo specchio che è Maria per lasciare che Dio dipinga in noi il suo volto. Guardare allo specchio che è Maria vuol dire apprendere, anzitutto, qualcosa del volto del Dio che a lei si rivela. Com’è e chi è il Dio che bussa alla casa di Maria?
È un Dio che va oltre ogni umana aspettativa: non comunica il suo messaggio dall’alto della sua natura divina con gesti soprannaturali ma sceglie di assumere e fare suo tutto l’umano. Già questo è per noi motivo per riconsiderare tanti nostri atteggiamenti quando siamo tentati di estraniare se non addirittura cancellare tanti aspetti della nostra umanità. No: attraverso Maria Dio fa suo tutto l’umano. Viene concepito nel grembo di una madre, cresce ed è educato in una famiglia, sente e prova ciò che sente ciascuno (il dolore, la gioia, la fame, la stanchezza, la solitudine, la tentazione, persino la paura, è vittima del sopruso, subisce il tradimento, la condanna ingiusta, la passione e la stessa morte dell’uomo). Tutto l’umano.
Il Dio che bussa alla casa di Maria è il Dio il cui amore non ha metro, dal momento che un cuore che ama non misura i suoi sentimenti; non ha bilancia, dal momento che non pesa gesti e parole e tantomeno li fa pesare; non ha orologio, dal momento che non conosce tregua e non vive part-time.
Contrariamente a quanto abbiamo sempre creduto, all’inizio, nell’in principio della nostra storia non c’è anzitutto un’esperienza di caducità, di male ma l’esperienza di un amore gratuito. In principio, c’è un’esperienza di tenerezza e di cura da parte di Dio per l’uomo. Non anzitutto un peccato originale ma una grazia originale. Io voluto da Dio: ciascuno di noi è nato amato. Se così non fosse quali probabilità avrei avuto io che sono l’ultimo di sei figli? “Prima di formarti nel grembo materno io ti conoscevo, ti ho chiamato per nome”, così ci ha appena annunciato il profeta Geremia. C’è un prima: c’è una misericordia che precede ogni nostra risposta e permane oltre ogni nostra risposta. È qui che nasce la fede, ma forse lo abbiamo presto dimenticato. Tu voluto, benedetto, amato prima dei secoli.
Penso ai dieci comandamenti da noi trasmessi ai ragazzi: abbiamo omesso l’incipit che è l’aspetto più importante: “Io sono il tuo Dio che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione servile”. Non può nascere la fede, come d’altronde non può nascere una vocazione, là dove non c’è la consapevolezza di un amore che mi ha preceduto e non può scaturire una vita morale senza un’esperienza di grazia. Tutto diventa un volontarismo fine a se stesso che alla prima occasione semina morti.
La mia fede non nasce dalla dottrina appresa in un’aula di catechismo ma dall’essere stato iniziato a leggere il passaggio di Dio nella mia vicenda personale. Dio è sempre il Dio di qualcuno: di Abramo, di Isacco, di Maria, di Antonio, del mio parroco, dei miei genitori, dei miei catechisti. Ma quale Dio abbiamo fatto conoscere? Forse è per una mancanza di questa iniziazione che non pochi ragazzi e giovani abbandonano ben presto le nostre comunità, per non aver respirato la grazia di una memoria viva.
La benedizione dell’uomo, della donna, della terra viene prima di ogni vincolo etnico e di ogni esperienza etica. E permane nonostante la ferita prodotta all’interno della relazione con Dio dall’incredulità dell’uomo e della donna. Un’alleanza che rimane indefettibile, sempre offerta all’uomo, ad ogni uomo.
Se l’equilibrio della relazione con Dio si è rotto, esso non è infranto per sempre. Dio rivela chi è, non è alla stregua di un uomo: egli è paziente ricostruttore di alleanze e ristabilizzatore di comunione. Dio non è nel segno di una maledizione ma di una amicizia offerta nuovamente: si può ricominciare. E si ricomincia. Non cambia mai il suo sguardo su di noi, anche se dovesse cambiare il nostro su di lui: questo è vangelo, questa è davvero una notizia che rallegra il cuore. A riprova di questo, guarda caso, è proprio in un simile contesto drammatico che Dio chiamerà la donna Eva, perché – è scritto – essa fu la madre di tutti i viventi. Non un nome di morte, come ci saremmo aspettati, ma di vita.
Maria, infatti, è lì a ricordare la primigenia intenzione di Dio: quella di potersi interessare liberamente degli esseri umani e del loro mondo. Questa è la sua volontà: prendersi cura degli umani. Sulla scia di Maria questo è chiamato a rammentare la comunità cristiana ad ogni generazione di umani: il debito di uno sguardo di benedizione.
Maria è in qualche modo la lettera su cui Dio ha scritto non quello che non siamo e neppure quello che non potremo mai diventare: ella è la lettera su cui è scritto ciò che possiamo essere, se lo vogliamo. Quando io ero “nessuno” Dio mi ha raccolto e quando addirittura ero “nulla” Dio mi ha creato.
Di che cosa è segno Maria e perché noi la invochiamo proprio mentre ci sentiamo mettere alle strette? Essa è segno di un Dio che non si rassegna mai alla piega che la storia può prendere mentre l’umanità, deliberatamente, sceglie di allontanarsi da lui.
La storia di ogni uomo sulla terra potrebbe essere letta come la vicenda di un Dio che per amore si consegna all’uomo e di un uomo che spesso gli volta le spalle allontanandosi e nascondendosi a lui. Tuttavia, le viscere di misericordia che fremono nel cuore di Dio non si rassegnano a un simile corso delle cose e per questo Dio usa gesti di tenerezza che attestano quanto il suo amore sia più forte di ogni rifiuto.
Proprio in un momento in cui tutto lasciava pensare che Dio avesse distolto il suo sguardo dall’umanità, la storia assume un nuovo corso i cui benefici hanno raggiunto tutti noi grazie alla disponibilità di una ragazza di Nazaret. Proprio lei infatti, è espressione di un amore sorprendente e sovrabbondante, è garanzia che la storia può avere ancora un futuro; proprio lei è il segno che là dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia (cfr. Rm 5,20) e perciò non c’è simmetria diretta tra delitto e castigo.
Maria ci ricorda che nulla può far desistere Dio dal suo progetto originario sull’umanità, neppure la risposta negativa da parte dell’uomo al suo amore gratuito. La più grande smentita non diventa mai motivo perché venga meno la sua fiducia nell’uomo e nella sua capacità di compiere il bene.
E, tuttavia, Maria ci ricorda ancora che, se è vero che Dio è disposto a prendere su di sé tutto il male dell’uomo, è altrettanto vero che egli non può rispondere al posto dell’uomo: “Qui te creavit sine te, non te salvabit sine te” (Chi ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te, senza che tu lo voglia).
Ma dove e come è possibile rispondere a questo Dio? Solo in un clima rarefatto come quello di un tempio e in un momento di preghiera? Solo in una circostanza straordinaria com’è la festa che stiamo celebrando? La vicenda di Maria ci ricorda, invece, che Dio entra nella realtà concreta di un progetto matrimoniale, vale a dire di un amore umano, e lo trasforma in esperienza di rivelazione. Dio entra in una casa che sa di cucina e di fatica e la fa diventare spazio in cui egli si manifesta come colui che sceglie di abitare l’umano facendolo suo. Tutta la storia è il luogo della presenza di Dio e ogni circostanza è il momento in cui dargli una risposta. Non ci è chiesto di mandare all’aria i nostri progetti ma di realizzarli alla luce dell’iniziativa di Dio.
Dove sei? Ricorda l’antico dialogo. Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola, ricorda il nuovo dialogo.
“Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno” (Eb 4,15).
(don Antonio Savone)
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Preghiera a Maria
Madre della Bellezza, Regina del nostro popolo,
non c’è su tutta la terra una creatura simile a te,
per la bellezza del tuo volto e la saggezza delle tue parole.
Tu sei la vera opera d’arte che Dio ha potuto realizzare mediante il tuo sì ubbidiente.
Tu sei l’icona della Bellezza che è splendore della Bontà e della Verità.
Consola la debolezza degli anziani e degli infermi,
accompagna la fatica di chi è provato da questa grave emergenza sanitaria,
custodisci l’innocenza dei nostri ragazzi,
rendi tenace la speranza dei giovani,
tieni sempre acceso l’amore nelle nostre famiglie,
asciuga le lacrime delle coppie ferite,
illumina i passi dei genitori smarriti.
Purifica gli occhi dei Pastori con il collirio della memoria
che può rinverdire il sì degli inizi
e suscita la disponibilità di tanti giovani che, sul tuo esempio,
spendano la loro vita a servizio dei fratelli.
Rendi i responsabili della cosa pubblica capaci di operare con bontà e dedizione.
Insegnaci a custodire l’umiltà del cuore
perché siamo in grado di pronunciare parole vere.
Intercedi presso tuo Figlio
perché siano agili le nostre mani, affrettati i nostri passi e saldi i nostri cuori.
Amen.
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Regina Coeli
Regina dei cieli, rallegrati, alleluia.
Cristo, che hai portato nel grembo, alleluia,
è risorto, come aveva promesso, alleluia.
Prega il Signore per noi, alleluia.
Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna.
Amen.