SUSSIDIO PER LA PREGHIERA PERSONALE  O FAMILIARE IN QUESTO TEMPO DI PROVA

9 maggio 2020 

(A cura di don Antonio Savone, Direttore Segreteria Pastorale Arcidiocesi di Potenza-Muro L.-Marsico N.)

Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?
Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? 
Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?
In tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati (Rm 8.31.35.37).

Introduzione
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Il Signore è veramente risorto, alleluia.
Ed è apparso ai discepoli, alleluia.
Preghiamo
Dio onnipotente ed eterno, rendi sempre operante in noi
il mistero della Pasqua, perché, nati a nuova vita nel Battesimo,
con la tua protezione possiamo portare molto frutto
e giungere alla pienezza della gioia eterna.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

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Sal 97
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.
Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.
Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!

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Dal Vangelo secondo Giovanni (14,7-14)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.

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In buone mani
Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto…
Se non sapessimo da dove sono tratte queste parole, potremmo a buon diritto metterle sulle labbra di un innamorato deluso che dice alla sua amata: ma come? Ancora non mi conosci? Abbiamo condiviso tante cose insieme e tu non sai chi sono?
Chissà cosa deve aver patito il Signore Gesù nel toccare con mano – proprio alla vigilia della sua passione – che i suoi sforzi di formare quegli uomini che si era scelti sembravano risultare vani!
Le sento rivolte a me queste parole di Gesù, a me che professo di essere suo discepolo, a me che mi vanto di appartenergli e che forse, ahimè, non ho ancora imparato a scoprire che cosa gli stia davvero a cuore. Vorrei sentire che almeno una volta quella sua delusione mi raggiunga e mi tocchi nel più profondo del cuore ed essere capace di rileggere tanti aspetti del mio rapporto con lui senza dare nulla per scontato.
Verosimilmente i discepoli – così come accade a ogni uomo che pure vive relazioni non banali – si erano abituati ad averlo con sé e più non si chiedevano che cosa davvero egli rappresentasse per loro, cosa significasse fino in fondo quella comunione di vita, di che cosa fosse segno il suo parlare e il suo agire. Facevano fatica a credere che mediante le sue azioni Dio stesso si rivelava loro.
Quella sera, dopo la cena, l’ultima, quando sapeva che cosa si stava tramando contro di lui, lui non era preoccupato per la sua sorte ma per quella dei suoi. A prevalere non era il rammarico o il rimpianto ma la preoccupazione per loro che temevano di essere stati buggerati.
Se no vi avrei mai detto…? Sono le parole umanissime, amichevoli di chi sa mettersi nei panni increduli di chi fa fatica a misurarsi con promesse che sembrano sfuggire alla propria presa. Sono le parole proprie di chi ama: non mi sono preso gioco di te!
Gli stava a cuore il loro turbamento: glielo aveva letto sul volto, esperto com’era egli stesso di turbamenti. Solo pochi versetti prima, infatti, vedendo approssimarsi la sua ora aveva esclamato: ora l’anima mia è turbata.
A loro intristiti per aver detto che li avrebbe lasciati, consegnava quelle parole che restituiscono la possibilità di vivere nella pace quando si è consapevoli che la vita non è incamminata verso il baratro e tantomeno verso una smentita. La vita è incamminata verso un luogo che coincide con una persona: il Padre.
Vero. A far la differenza nella vita di ciascuno di noi non è l’essere in un luogo piuttosto che in un altro ma l’essere con qualcuno, il sapere che quella persona c’è, l’essere consapevoli che a quella persona sta a cuore quello che io sono come quello che io faccio, sapere di essere nel cuore di qualcuno. Per questo Gesù, dopo aver invitato i discepoli a non far sì che il cuore cada in preda al turbamento, dice loro: abbiate fede… Immediatamente ci verrebbe di pensare che quell’invito a credere possa essere letto come una sorta di assicurazione che nessun imprevisto accadrà nella loro vita. Sappiamo, invece, che non sarà così.
Abbiate fede…
Tu continua ad aver fiducia… anche se il Maestro sta per andarsene. Continua ad aver fiducia… anche se lo scandalo del rinnegamento di Pietro non tarderà ad essere manifesto. Continua ad aver fiducia… anche se le tue fragilità non poche volte hanno il sopravvento sulle tue migliori intuizioni. Continua ad aver fiducia… la misericordia di Dio è in grado di stupirti ancora, non nonostante tutto ciò ma proprio attraverso tutto ciò che sta per accadere. Era la consegna di quella sera: è la consegna di ogni sera in cui le tenebre sembrano avere il sopravvento su di noi.
Continua ad aver fiducia… sei nelle mani di Dio. E se talvolta dovesse accadere di sentirlo assente, ricorda che egli sta continuando a prendersi cura di te: sta lavorando per prepararti un posto!
(don Antonio Savone)

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Riflessione mariana

9 Maggio

A passo d’uomo
A dispetto di un certo nostro modo di accostare la famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe come una realtà immobile perché perfetta, sacra perché esente preoccupazioni e problemi la liturgia della Parola ci consegna, invece, tutt’altra chiave di lettura. Ci presenta, infatti, una realtà in continuo movimento, una famiglia dinamica, attraversata persino da ombre fitte attraversate solo grazie alla tenue luce della promessa di Dio.
Quando Dio ha scelto quella coppia come il nucleo all’interno del quale farsi uomo, ha scelto pure un vero e proprio apprendistato. È cresciuto a passo d’uomo, proprio come ognuno di noi: “il bambino cresceva e si fortificava” (Lc 2,40). Non già un uomo bell’e fatto.
Si è trovato un nome imposto da altri, ha abitato in un luogo, ha fatto sua una lingua, ha intessuto relazioni, ha respirato un certo clima, ha appreso certi accenti, ha conosciuto certe tonalità relazionali, ha imparato a pregare, ha appreso un lavoro.
Il tempo vissuto da Gesù a Nazaret è un tempo lunghissimo e guai a ridurlo (trent’anni circa): snatureremmo il vangelo e il senso stesso dell’incarnazione. Per tutto il tempo trascorso con i suoi, egli ha assimilato come vive e come muore un uomo, come gioisce e come soffre, come si dispera per il lavoro e come si entusiasma per i traguardi di un figlio, come piange per le ferite ricevute e come è capace di compassione per chi talvolta resta tramortito sul ciglio della strada.
Per questo abbiamo bisogno di non distogliere lo sguardo da come il vangelo ci presenta la dinamica familiare di Gesù, Maria e Giuseppe, perché altrimenti finiamo per racchiudere il vangelo in un gergo religioso che non incrocia mai le nostre esistenze. Gesù ha potuto rivelare il mistero santo di Dio con un’autorità senza eguali (“mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo”, come riconosceranno i suoi stessi oppositori in Gv 7,46) proprio perché non ha mai preso le distanze dalle avventure e dalle fatiche dei suoi contemporanei. A passo d’uomo e senza sconti, egli che pure era Figlio di Dio.
Di certo, da Maria e Giuseppe ha appreso la difficile arte del non sentirsi arrivati: una coppia per nulla al riparo, sebbene fossero il padre e la madre di Gesù. Non si spiegherebbe altrimenti il suo mutare prospettiva di fronte alla donna che riconoscerà un diritto di primogenitura dei figli ma gli dirà di non dimenticarsi di lasciar cadere del cibo anche per i cagnolini.
Chi più di Maria e Giuseppe ha dovuto continuamente stare in cammino ora per sottoporsi a un editto imperiale ora per adempiere quanto prescriveva la legge mosaica? E che cos’è la fede se non la capacità di dare credito a Dio uscendo, partendo, fidandosi e accogliendo? Colui che era Dio ha dovuto imparare ad essere uomo e Maria e Giuseppe hanno dovuto apprendere l’arte di crescere insieme a lui.
Chi più di loro ha dovuto imparare la differenza che intercorre tra vivere ed esistere? Se per vivere basta essere generati uscendo dal grembo materno, per esistere bisogna accettare di essere continuamente messi alla luce da eventi e situazioni. Io vivo o esisto?
Chi più di loro ha dovuto apprendere proprio dal Figlio cosa volesse dire far sì che la propria identità fosse ancora, di nuovo da generare? Non dovrà forse un giorno misurarsi con un diverso modo di esercitare la sua maternità quando si sentirà dire dal Figlio: “Chi è mia madre?… Chi compie la volontà del Padre mio questi è per me fratello, sorella e madre” (Mc 3,33-34). Non dovrà nuovamente accettare di rivedere il suo essere madre allorquando ai piedi della croce si sentirà consegnare un nuovo figlio? Forse che si improvvisa una tale disponibilità ad accogliere senza un previo acconsentire a stare in cammino proprio come era accaduto già ad Abramo e Sara e a Simeone ed Anna?
Da essi e dalle parole di Simeone dovrà apprendere persino cosa significa la dimensione del rifiuto nella sua esistenza.
(don Antonio Savone)

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Preghiera a Maria
Madre della Bellezza, Regina del nostro popolo,
non c’è su tutta la terra una creatura simile a te,
per la bellezza del tuo volto e la saggezza delle tue parole.
Tu sei la vera opera d’arte che Dio ha potuto realizzare mediante il tuo sì ubbidiente.
Tu sei l’icona della Bellezza che è splendore della Bontà e della Verità.
Consola la debolezza degli anziani e degli infermi,
accompagna la fatica di chi è provato da questa grave emergenza sanitaria,
custodisci l’innocenza dei nostri ragazzi,
rendi tenace la speranza dei giovani,
tieni sempre acceso l’amore nelle nostre famiglie,
asciuga le lacrime delle coppie ferite,
illumina i passi dei genitori smarriti.
Purifica gli occhi dei Pastori con il collirio della memoria
che può rinverdire il sì degli inizi
e suscita la disponibilità di tanti giovani che, sul tuo esempio,
spendano la loro vita a servizio dei fratelli.
Rendi i responsabili della cosa pubblica capaci di operare con bontà e dedizione.
Insegnaci a custodire l’umiltà del cuore
perché siamo in grado di pronunciare parole vere.
Intercedi presso tuo Figlio
perché siano agili le nostre mani, affrettati i nostri passi e saldi i nostri cuori.
Amen.

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Regina Coeli
Regina dei cieli, rallegrati, alleluia.
Cristo, che hai portato nel grembo, alleluia,
è risorto, come aveva promesso, alleluia.
Prega il Signore per noi, alleluia.
Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna.
Amen.