SUSSIDIO PER LA PREGHIERA PERSONALE  O FAMILIARE IN QUESTO TEMPO DI PROVA 6 maggio 2020  (A cura di don Antonio Savone, Direttore Segreteria Pastorale Arcidiocesi di Potenza-Muro L.-Marsico N.) Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la …

SUSSIDIO PER LA PREGHIERA PERSONALE  O FAMILIARE IN QUESTO TEMPO DI PROVA

6 maggio 2020 

(A cura di don Antonio Savone, Direttore Segreteria Pastorale Arcidiocesi di Potenza-Muro L.-Marsico N.)

Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?
Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? 
Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?
In tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati (Rm 8.31.35.37).

Introduzione
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Il Signore è veramente risorto, alleluia.
Ed è apparso ai discepoli, alleluia.
Preghiamo
O Dio, vita dei tuoi fedeli, gloria degli umili,
beatitudine dei giusti, ascolta la preghiera
del tuo popolo, e sazia con l’abbondanza
dei tuoi doni la sete di coloro
che sperano nelle tue promesse.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

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Sal 66
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti.
Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.
Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra.

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Dal Vangelo secondo Giovanni (12,44-50)
In quel tempo, Gesù esclamò:
«Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre.
Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.
Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».

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Lasciar trasparire
Parole di grande respiro quelle consegnate dal vangelo di quest’oggi. In un clima culturale sempre più autocentrato e autoreferenziale è una vera e propria sfida ascoltare parole come queste: “Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato”. La vicenda terrena di Gesù – parole ed opere – è un continuo rimando ad un altro. La sua preoccupazione è quella di essere trasparenza di ciò che ha udito e visto fare dal Padre. A Gesù sta fortemente a cuore che si vada oltre lui, la sua persona. E che cos’è la vita cristiana se non la trasparenza di ciò che noi abbiamo udito e visto fare dal Figlio Gesù? A me sta a cuore che si vada oltre me e la mia persona?
È talmente abituato alla relazione con il Padre che questa struttura anche la reazione con l’umanità. Di fronte al mondo c’è assoluto rispetto tanto da sospendere il giudizio. Non la condanna ma la salvezza: ecco il desiderio di Dio. La salvezza che il Signore offre ha sempre a che vedere con l’allargamento di orizzonti e prospettive a fronte di un clima asfittico che finisce per costringere ed opprimere, soffocare, appunto. Ancor prima che liberazione dal male, quello che Dio offre è una proposta di luce, una pienezza di vita.
C’è uno stare di fronte all’altro che fa sì che sia egli stesso ad esprimere il giudizio su di sé. Il giudizio, infatti, è quello che ognuno riesce a dare su di sé grazie alla presenza di Gesù che si pone come guida di un cammino interiore che ci porta ad andare oltre noi stessi.
Parlando di sé come luce venuta nel mondo, il Signore Gesù ha ben chiaro un dato che dovrebbe caratterizzare la testimonianza dei suoi discepoli: la luce, infatti, mette in risalto la realtà delle cose senza attirare l’attenzione su di sé.
Non poche volte abbiamo confuso l’evangelizzazione come l’utilizzo di una particolare metodologia pastorale, adottata la quale conseguire automaticamente il buon esito. Proprio le parole consegnate a noi da Gesù quest’oggi, mandano all’aria un simile modo di pensare. Evangelizzare, infatti, non è trasmettere un contenuto nozionistico e neppure assumere un metodo, quanto piuttosto entrare in una modalità di relazione che traduca la stessa relazione che c’è tra il Padre e il Figlio: “Chi vede me, vede colui che mi ha mandato” (Gv 12,45). Bando, perciò, al protagonismo così da lasciare spazio all’altro. Chi vive questa modalità di relazione è per nulla interessato alla riuscita o meno. Non può non vivere così, come Gesù stesso testimonia: “Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno”.
Colui che annuncia il vangelo, proprio come il Figlio inviato dal Padre, non altro desiderio se non quello di promuovere vita e vita piena.
Può sembrare paradossale ma lo stile del Figlio nel comunicare la vita è di questo tipo: espropriato di se stesso non ha paura di assumere la nostra tenebra, vive la sua umanità in pienezza tanto da riflettere in essa Dio stesso, pieno di fiducia riesce a mettere in risalto persino le ombre.
(don Antonio Savone)

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Riflessione mariana 

6 Maggio

Su quell’uscio
Sull’uscio della casa di Elisabetta… È qui che ci trattiene il mistero della sua Visitazione. Un uscio da non varcare in fretta. Un uscio su cui indugiare a lungo se vogliamo cogliere il senso del mistero di quella visita non programmata da alcun calendario se non da quello del cuore di Maria.
Su quell’uscio scopriamo come da un punto prospettico privilegiato cosa e come guarda Dio. Ha guardato l’umiltà della sua serva, canta Maria in quell’inno che la Chiesa ci fa pregare al termine di ogni giorno, quasi a volerci insegnare in che modo vada riletto il tempo trascorso: come occasione per mettere in risalto non i grandi eventi ma ciò che, forse, inavvedutamente riterremmo materiale di scarto.
Su quell’uscio, infatti, è messa in luce la marginalità, quella di Maria quella volta, quella mia stavolta, riconosciute e guardate dal Signore. Addirittura prese a prestito – quasi un rifugio di fortuna in quella perenne generazione del Verbo di Dio – perché egli possa di nuovo farsi conoscere come il Dio-con-noi.
Su quell’uscio della casa di Elisabetta siamo messi a contatto con i dirottamenti di Dio: Dio si è affidato al grembo di una ragazza. Impensabile: una ragazza diviene l’arca della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Finalmente il sogno di Dio ha trovato una zolla di terra entro cui germogliare e crescere, senza resistenze.
Su quell’uscio apprendiamo la bellezza dello stupore, del non dare nulla per scontato: a che devo che la madre del mio Signore venga a me? Che bello che queste parole siano poste sulla bocca di una donna avanti negli anni ma ancora in grado di stupirsi.
Su quell’uscio di casa l’incontro di due donne che hanno dato grembo all’impossibile diventa primizia della discesa dello Spirito santo: Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto. Quando si dà credito a ciò che il Signore dice, è garanzia perché lo Spirito scenda nuovamente a fecondare l’umanità. Quale grembo, quale spazio oso mettere a disposizione perché altri possano sperare? Se osassimo…
Su quell’uscio due donne consegnano a noi quasi una postazione privilegiata se non vogliamo rimanere ai margini di quello che continuamente accade nella nostra vita. Maria ed Elisabetta annunciano un Dio che ribalta tutti i nostri parametri di grandezza, un Dio impenitente nella sovversione (Casati). Maria ed Elisabetta, infatti, non parlano di sé: esse, in realtà, ci parlano di Dio, di ciò che ha compiuto in loro, di un Dio che ha occhi per la sterilità dell’una e per la impossibilità dell’altra, come già aveva avuto occhi per un non-luogo, Betlemme. Di un Dio che ancora si rende presente ma non nel clamore, non nell’ostentazione.
Sull’uscio di quella casa troviamo due donne non irrigidite dall’abitudine, donne che non hanno concesso alla vita di defraudare i loro sogni, donne non sequestrate, non chiuse nello schema di un modello unico: l’una concepisce senza concorso umano, l’altra quando il concorso umano ha esaurito ogni sua possibilità.
Sull’uscio di quella casa due donne ci attestano che celebra continuamente il mistero dell’Incarnazione chi non ha spento la voglia di rinascere dentro, chi non si rassegna al modello unico di come necessariamente debbano andare le cose.
Sull’uscio di quella casa due donne narrano l’accadere di Dio nella bellezza di un incontro. Se ti accolgo la mia vita cambia. I nostri incontri se vissuti senza impoverimenti diventano accadimenti dello Spirito. E l’uno comprende la lingua dell’altro, declinandola anzitutto come rispetto e accoglienza della diversità altrui.
Sull’uscio di quella casa Dio non cessa di sovvertire le mire di quanti vorrebbero circoscriverlo in uno spazio sacro, quasi a volerlo sequestrare, a farlo diventare proprio monopolio. Dio non ha mai cessato di attestare che suo sogno era quello di abitare la storia dal di dentro. Non voleva essere relegato in uno spazio ma sceglieva di stare nell’andare, in quell’andare di Maria. Sintomatico che l’andare sia l’ultimo mandato del Risorto: andare… recando lieti annunci…
Sì, l’andare sollecito di Maria è invito ad uscire e a prendersi cura di ogni inizio, anche se timido, anche se non appariscente. Il tuo andare faccia sobbalzare chi visiti e sia racconto di ciò che Dio ha iniziato in te.
(don Antonio Savone)

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Preghiera a Maria
Madre della Bellezza, Regina del nostro popolo,
non c’è su tutta la terra una creatura simile a te,
per la bellezza del tuo volto e la saggezza delle tue parole.
Tu sei la vera opera d’arte che Dio ha potuto realizzare mediante il tuo sì ubbidiente.
Tu sei l’icona della Bellezza che è splendore della Bontà e della Verità.
Consola la debolezza degli anziani e degli infermi,
accompagna la fatica di chi è provato da questa grave emergenza sanitaria,
custodisci l’innocenza dei nostri ragazzi,
rendi tenace la speranza dei giovani,
tieni sempre acceso l’amore nelle nostre famiglie,
asciuga le lacrime delle coppie ferite,
illumina i passi dei genitori smarriti.
Purifica gli occhi dei Pastori con il collirio della memoria
che può rinverdire il sì degli inizi
e suscita la disponibilità di tanti giovani che, sul tuo esempio,
spendano la loro vita a servizio dei fratelli.
Rendi i responsabili della cosa pubblica capaci di operare con bontà e dedizione.
Insegnaci a custodire l’umiltà del cuore
perché siamo in grado di pronunciare parole vere.
Intercedi presso tuo Figlio
perché siano agili le nostre mani, affrettati i nostri passi e saldi i nostri cuori.
Amen.

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Regina Coeli
Regina dei cieli, rallegrati, alleluia.
Cristo, che hai portato nel grembo, alleluia,
è risorto, come aveva promesso, alleluia.
Prega il Signore per noi, alleluia.
Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna.
Amen.