SUSSIDIO PER LA PREGHIERA PERSONALE  O FAMILIARE IN QUESTO TEMPO DI PROVA

3 maggio 2020 

(A cura di don Antonio Savone, Direttore Segreteria Pastorale Arcidiocesi di Potenza-Muro L.-Marsico N.)

Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?
Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? 
Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?
In tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati (Rm 8.31.35.37).

Introduzione
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore. Alleluia!
Questo è il giorno che ha fatto il Signore. Alleluia!
Rallegriamoci ed esultiamo: Alleluia!
Rallegriamoci ed esultiamo: Alleluia!
Oggi siamo in festa, perché il Signore è risorto: rallegriamoci ed esultiamo: Alleluia!
Rallegriamoci ed esultiamo: Alleluia!
Oggi la morte e la vita si sono affrontate in un prodigioso duello: Il Signore della vita era morto, ma ora, vivo, trionfa! Rallegriamoci ed esultiamo: Alleluia!
Rallegriamoci ed esultiamo: Alleluia!
Oggi la pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo: questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi. Rallegriamoci ed esultiamo: Alleluia!
Rallegriamoci ed esultiamo: Alleluia!
Sal 22
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce. Rinfranca l’anima mia.
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.
Preghiamo
Dio onnipotente e misericordioso,
guidaci al possesso della gioia eterna,
perché l’umile gregge dei tuoi fedeli
giunga con sicurezza accanto a te,
dove lo ha preceduto il Cristo, suo pastore.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

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Dal Vangelo secondo Giovanni (10,1-10)
In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

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A partire dalla voce
Solo il Signore poteva operare simili accostamenti. Parla, infatti, del rapporto tra lui e l’uomo di ogni tempo proprio come quello che potrebbe esistere tra le pecore e il loro pastore, un rapporto fatto non di estraneità ma di incontro, anzitutto, di comunione di vita e quindi di reciproco riconoscersi, un rapporto in cui il ritorno dell’uno è motivo di gioia per l’altro, una relazione in cui il ritorno è atteso e preparato.
Quando parla del rapporto tra pastore e gregge, i toni sono quelli della discrezione e del rispetto, un rapporto in cui il pastore non la fa da padrone che usurpa e pretende ma sta di fronte a chi gli è affidato in punta di piedi. Solo lui poteva parlare così e solo lui poteva indicare in questi tratti i segni caratteristici di chi è pastore secondo il suo cuore: la sicurezza del gregge, infatti, è tutta nell’attenzione di chi le guida.
Il pastore, ovvero chiunque abbia autorità su altri (il genitore, l’educatore, l’uomo della cosa pubblica, l’amico, il prete), afferma Gesù, lo riconosci dalla voce: non ha bisogno di urlare ma di coinvolgere, non di picchiare ma di indicare, non di agitare ma di rassicurare, non di costringere ma di sollecitare, non di bistrattare ma di promuovere. La voce, infatti, è molto più di un insieme di suoni: è il tono che fa la musica, si dice. Il timbro che usi dice già in che modo ti poni di fronte all’altro. Il modo in cui tu parli dice tanto di quello che porti nel cuore.
Quante parole urlate nella convinzione che in questo modo si è sicuri di venire ascoltati dimenticando che se il bastone è il segno dell’autorità, solo la voce è indice della tua autorevolezza.
Un giorno, tramite il profeta Osea, il Signore userà una immagine tra quelle più seducenti. Per riconquistare la fiducia del suo popolo prometterà di portarlo nel deserto per parlargli sul cuore. Si parla sul cuore a indicare l’intimità, la comunione, la voglia di ricominciare. Così fa Dio, questo è Dio.
La voce di Gesù doveva essere senz’altro particolare se è vero che la samaritana non potrà non riconoscere che mai un uomo le aveva parlato come quell’uomo incontrato al pozzo di Giacobbe; doveva essere autorevole se la folla non tarderà a riconoscere che mai nessuno aveva parlato come parlava quell’uomo; doveva essere riconoscibilissima se alla Maddalena basterà sentire pronunciare il suo nome per riconoscere in quell’uomo che le parlava il Maestro; doveva essere unica per far ardere il cuore nel petto ai due di Emmaus mentre conversava con loro lungo il cammino; doveva essere affidabile se conquisterà l’amore di Pietro dopo il triplice rinnegamento.
La voce tradisce la passione che ti anima, l’intenzione che ti guida, la convinzione che ti muove. Quante volte dalla voce riconosciamo ciò che l’altro avrebbe voluto dirci davvero! Non abbiamo mai detto a qualcuno: la voce ti ha tradito? Perché volevi fare il duro ma la voce si è rotta nella commozione o volevi fare il compassionevole ma essa ha manifestato la tua durezza.
Tanti ci chiamano mettendo insieme le sillabe che compongono la nostra identità anagrafica, ma solo uno ci conosce per nome, ovvero sa di cosa è impastata la mia vita, sa quali bagagli sono costretto a portare, quali attese custodisce il mio cuore, quali ferite sono ancora da rimarginare, quali intuizioni sono in grado di farmi vibrare. Non si spiegherebbe altrimenti, infatti, che al solo passaggio lungo la loro vita, Gesù sia riuscito ad attirare a sé gli animi più diversi, da Pietro a Giovanni, da Matteo a Natanaele. L’essere stati chiamati per nome dice un essere stati custoditi nei pensieri e nel cuore di Cristo prima che sulle sue labbra. Che qualcuno pronunci il mio nome significa che quel qualcuno mi ha intravisto e riconosciuto fra altri: e chi di noi non risuona positivamente di fronte ad una simile esperienza?
E quando chiama per nome la proposta non è mai quella di un intruppamento ma quella dell’essere portato fuori, ossia godere della libertà propria di chi sa di aver messo radici in un amore che non viene meno perché è da sempre ed è per sempre. Tutto questo a un patto: che lui vada avanti per indicare la strada e aprire la pista. Quando le posizioni si capovolgono, infatti, è la fine: mi smarrisco.
Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.
L’essere chiamati per nome ha un solo scopo: avere la vita in pienezza. Dio ha un solo desiderio che l’uomo viva da figlio e viva, perciò, della sua stessa vita. Ne ho il desiderio?
La vita che promette e dona non è anzitutto quella necessaria, indispensabile, il minimo per sopravvivere. No, è la vita centuplicata. Se solo ripercorressimo la storia della salvezza a partire dalla categoria del di più troveremmo che egli offre la manna per quarant’anni nel deserto, il pane per cinquemila uomini, le anfore riempite fino all’orlo, l’acqua trasformata nel vino eccellente, la pietra rotolata via per Lazzaro, cento fratelli per chi ne lascia uno, il vaso di nardo prezioso e la casa riempita di profumo.
Così fa Dio, questo è Dio.

 (don Antonio Savone)

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Riflessione mariana

(facoltativa)

3 maggio

Il vangelo fissa per noi un appuntamento nella casa di Nazaret. Chissà come doveva essere quella casa? A noi non interessa come fosse materialmente quella dimora ma che aria si respirasse. È il vangelo stesso a lasciarci presagire lo stile di quella casa: una casa totalmente aperta, se è vero che l’angelo di Dio può avervi accesso liberamente. Entrando da lei, ricorda Lc. Non poche volte, infatti, la nostra esistenza non conosce la bellezza di un nuovo annuncio e di una nuova possibilità, solo perché c’è una chiusura che non permette ad alcun angelo di varcare la soglia della nostra vita.
Ecco sto alla porta e busso se qualcuno ascoltando la mia voce mi apre, io entrerò, cenerò con lui ed egli con m (Ap 3,20): Dio si muove nella storia sempre interpellando la libertà umana, mai forzandola. Quante cene mancate, perché tante porte non si sono aperte!
In quella abitazione totalmente aperta, era di casa l’arte dell’ascolto di angeli. L’angelo è colui che annuncia la possibilità dell’impossibile. L’impossibile diventa possibile perché la parola di Dio non è mai impotente, opera sempre ciò che annunzia. Essa non è mai sterile. L’impossibile diventa possibile perché lo Spirito Santo è sempre di nuovo all’opera: ti coprirà con la sua ombra. Che cos’è il vangelo se non la realizzazione dell’impossibile? Esso narra che Gesù nascerà in un modo e non in un altro; narra che l’adultera venga perdonata e non lapidata; narra che il figlio prodigo viene trattato come figlio e non come servo; narra che è possibile a un vecchio come Nicodemo di rinascere; è possibile persino che un morto di 4 giorni oda l’invito a venir fuori; narra di come sia possibile che dentro di me rinasca la fiamma della fede, della speranza, della carità.
In quella abitazione totalmente aperta, erano di casa lo stupore e la capacità di porsi domande: si domandava che senso avesse un tale saluto. Era di casa la riflessione. Si pone domande chi sa di non disporre di una lettura esaustiva e onnicomprensiva del reale come accade sotto i suoi occhi. Ci sono cose che non è possibile ospitare nel nostro orizzonte se non accettando di lasciarci mettere in discussione proprio da quei messaggeri che Dio continuamente suscita. Quante cose ci appaiono già note ancor prima di essere vissute! E di quante occasioni di rinascita ci priviamo solo perché ci sembra di non aver alcun grembo per poter ospitare ciò che va oltre il nostro desiderio o la nostra aspettativa! La vita è fatta di turbamenti, di emozioni confuse: ma Dio non teme questo nostro mondo interiore.
In quella abitazione totalmente aperta, era di casa la fiducia. Come potrebbe non essere così se Maria arriva a mettersi a disposizione senza riserve di un progetto che non era il suo? All’angelo che le reca un annuncio che le sconvolge la vita, Maria risponde: possa essere di me come tu dici! Una risposta così non si improvvisa: essa nasce da un cuore che sempre aveva custodito il desiderio di essere in comunione con Dio e perciò accetta che le proprie solite risposte vengano sovvertite. Maria è certa che l’aprirsi a Dio non coincide mai con un impoverimento della propria umanità.
In quella abitazione totalmente aperta, era di casa lo spirito di servizio. Sono la serva del Signore, ripete Maria all’angelo. Difficilmente pronuncia parole simili chi è abituato a gestire, dominare, disporre, comandare. Quelle di Maria sono parole che attestano uno stile umile, disponibile, accogliente.
In quella abitazione, era di casa l’impossibile, il non sentirsi arrivati, la capacità di misurarsi con l’imprevisto. Maria non costringe il progetto di Dio ad adeguarsi alla sua capacità di accogliere ma prova a dilatare la sua capacità sulla misura dei disegni di Dio.
In quella dimora, da una parte erano di casa una grande concretezza e un sano realismo (tanto è vero che Maria chiede: come avverrà questo?), dall’altra una grande disponibilità a “lasciarsi condurre oltre se stessi”.

(don Antonio Savone)

Professione di fede
Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente; di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.
Invocazioni
Il Signore Gesù è l’unico pastore: nella certezza che nessuno e niente ci può strappare dalle sue mani, ci rivolgiamo a lui con fiducia.
Signore Gesù, pastore dei pastori, tu hai posto in mezzo a noi i tuoi ministri, il Papa, i Vescovi e i sacerdoti:
fa che confessino in parole e opere che tu solo sei il pastore vero, che entra dalla porta del cuore.
Signore Gesù, pastore buono, tu ci conosci uno per uno:
fa che, tra le mille voci che affollano i nostri cuori, spesso confusi, riconosciamo la tua voce.
Signore Gesù, pastore buono, vedi come i nostri sono giorni nuvolosi e di caligine:
radunaci dalle nostre dispersioni e divisioni e apri giorni di pace.
Signore Gesù, pastore buono, tu non ci mandi allo sbaraglio, ma ci accompagni con bontà e fedeltà:
fa’ che tra i giovani di questo tempo ci sia chi si lascia affascinare dal tuo invito per essere segno del tuo amore in mezzo al popolo.
Signore Gesù, buon pastore, tu ti prendi cura di noi, ma non ci soffochi nei nostri recinti:
fa’ della Chiesa il un luogo aperto e ospitale, libero e liberante.
Signore Gesù, buon pastore, tu cammini davanti al gregge e indichi la via
fa’ che seguiamo, senza smarrirci, la traccia del tuo Vangelo.
Dice Gesù: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato: entrerà e uscirà e troverà pascolo”. Invochiamo il Padre perché venga il suo regno d’amore e sia dato il pane di ogni giorno ai poveri del mondo.
Padre nostro, che sei nei cieli…
O Dio, nostro Padre, che nel tuo Figlio
ci hai riaperto la porta della salvezza,
infondi in noi la sapienza dello Spirito,
perché fra le insidie del mondo
sappiamo riconoscere la voce di Cristo,
buon pastore, che ci dona l’abbondanza della vita.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

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Preghiera a Maria
Madre della Bellezza, Regina del nostro popolo,
non c’è su tutta la terra una creatura simile a te,
per la bellezza del tuo volto e la saggezza delle tue parole.
Tu sei la vera opera d’arte che Dio ha potuto realizzare mediante il tuo sì ubbidiente.
Tu sei l’icona della Bellezza che è splendore della Bontà e della Verità.
Consola la debolezza degli anziani e degli infermi,
accompagna la fatica di chi è provato da questa grave emergenza sanitaria,
custodisci l’innocenza dei nostri ragazzi,
rendi tenace la speranza dei giovani,
tieni sempre acceso l’amore nelle nostre famiglie,
asciuga le lacrime delle coppie ferite,
illumina i passi dei genitori smarriti.
Purifica gli occhi dei Pastori con il collirio della memoria
che può rinverdire il sì degli inizi
e suscita la disponibilità di tanti giovani che, sul tuo esempio,
spendano la loro vita a servizio dei fratelli.
Rendi i responsabili della cosa pubblica capaci di operare con bontà e dedizione.
Insegnaci a custodire l’umiltà del cuore
perché siamo in grado di pronunciare parole vere.
Intercedi presso tuo Figlio
perché siano agili le nostre mani, affrettati i nostri passi e saldi i nostri cuori.
Amen.
Regina Coeli
Regina dei cieli, rallegrati, alleluia.
Cristo, che hai portato nel grembo, alleluia,
è risorto, come aveva promesso, alleluia.
Prega il Signore per noi, alleluia.
Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna.
Amen.