L’aveva ripetuto più volte lungo il cammino che lo conduceva a Gerusalemme: “Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato…” e tutte le volte i discepoli avevano fatto orecchie da mercanti altalenando tra il non capire e il rimuovere quell’argomento. Ora che i giochi son fatti, bisogna concludere che ha fatto bene chi, lungo la via, ha preso la decisione di ripiegare in ritirata abbandonando Gesù al suo destino. Si può morire così, quasi facilitando e accelerando il precipitare degli eventi consegnandosi all’arresto senza rivendicare la propria innocenza e opporre resistenza alcuna? Non è forse vero che quella fine ingloriosa dava ragione a chi in tutti i modi aveva provato a contraddirlo, a riprovarlo, ad accusarlo? Se davvero aveva ragione, almeno alla fine, Gesù avrebbe dovuto attestarlo con quel gesto di forza che tutti invocavano come conditio sine qua non per la sua credibilità: “Ha salvato altri, salvi se stesso se è il Cristo di Dio”. Logico, no? Non fa una piega: non siamo stati, forse, abituati a leggere la storia secondo i gesti di forza che qualcuno è riuscito a compiere? Non leggiamo così la nostra personale vicenda? Quale plausibilità può avere per noi un momento di fragilità o di debolezza, un momento in cui siamo stati sconfessati? Dipendesse da noi elimineremmo tanti aspetti di limite nostri e altrui.
Son ben strani gli uomini: quando si tratta di leggere il reale, credono che tutto risponda al loro modo di intendere le cose, quasi non ci sia che quello, il loro ovviamente. Per questo sogghignano, si sfregano le mani convinti di aver posto la parola “fine” su quella vicenda che avrebbe potuto ingenerare tanto scompiglio nel popolo. Finalmente avrebbero potuto tirare un respiro di sollievo e dormire sonni tranquilli: il destabilizzatore era stato messo a tacere per sempre con una morte degna dei maledetti, vivaddio. Ignoravano, però, che tutto doveva ancora cominciare: quando c’è di mezzo Dio, infatti, la notte del tradimento diventa la notte di un amore fino alla fine, il rinnegamento diventa motivo per una ritrovata disponibilità ad amare, il discepolo che tradisce l’amico a cui far sentire ancora il proprio affetto, il patibolo diventa trono, il luogo della condanna diventa luogo del perdono, il condannato diventa il re, il malfattore il primo canonizzato, l’escluso il primo ad entrare nel regno, la morte solo un passaggio. Non fosse che per questo, c’è forse un altro modo di leggere il reale come accade sotto i nostri occhi.
L’unico a capire cosa sta accadendo realmente su quella collina alle porte di Gerusalemme è un non avente diritto, uno che è ben consapevole della sua condizione, uno che sa di non essere buono a differenza dell’altro malfattore e perciò giustamente condannato. Solo non riesce a spiegarsi come gli uomini possano giungere a tanto. Non chiede un ristabilimento della sua sorte: sa di aver fatto del male ed è pronto a pagare. Una cosa, però, desidererebbe più di ogni altra: non perdere la compagnia di Gesù. Se Dio è su quella croce accanto a lui, davvero tutto è ancora possibile.
Non lo avremmo mai potuto immaginare. A Zaccheo Gesù aveva offerto la salvezza scegliendo di entrare nella sua casa, sulla croce le cose sono rovesciate: è l’uomo consapevole di peccato e bisognoso della grazia ad entrare come ospite nella casa stessa di Dio. Finalmente è possibile non vergognarsi del proprio peccato come invece era accaduto nel giardino di Eden e scegliere di confessare la propria nudità di fronte a Dio stesso senza più bisogno di nascondersi o di fuggire. Il Figlio ritorna accanto al Padre riportando con sé la pecorella smarrita.
La croce ricorda che proprio nelle esperienze della più grande abiezione, là dove abbiamo toccato il fondo, anche lì Dio viene a cercarci perché nessuno vada perduto. Ci basta solo sussurrare il nome di Gesù ricordando che non c’è baratro da cui non si possa risalire: anche nel suo limite più basso l’uomo è ancora degno di essere amato.
Certo, per quanto speriamo accada anche a noi che almeno all’ultimo istante possiamo avere modo di chiedere e ottenere misericordia, di fatto, se non scandaloso ci risulta quantomeno imbarazzante pensare che un attimo riscatti un’intera esistenza fallita come quella del malfattore crocifisso accanto a Gesù. Sì, perché, in fondo, Zaccheo, l’adultera, la samaritana stessa, pur portandosi dietro un passato per nulla glorioso, hanno avuto modo di dar prova che il perdono ricevuto ha portato i suoi frutti nelle loro storie. Ma qui no. Perché mai? Perché fino all’ultimo istante della vita e – stando al vangelo – addirittura nella condizione peggiore di essa, si può sperare nella salvezza.